martedì 6 gennaio 2015

FERRU ‘E CUAḌḌU.

FERRU ‘E CUAḌḌU.

di Salvatore Dedòla

 È un pane sardo formato appunto a ferro di cavallo. In tale foggia si coglie una funzione apotropaica; infatti, in Sardegna il ferro di cavallo viene appeso alla porta per difendere la casa dagli spiriti maligni. Simile uso apotropaico fu segnalato dal Pitrè anche in Sicilia. Ma nella denominazione riferita al pane sardo è possibile percepire una paronomasia, basata su un’arcaica espressione mediterranea non più compresa. Per capire l’intero problema, ci chiediamo perché il ferro di cavallo sia usato con funzioni apotropaiche. Nessuno lo ha mai spiegato. Qualcuno allude alle corna, anch’esse apotropaiche, ed alla forma similare del ferro di cavallo. Certamente. E se la questione sta in questi termini, a maggior ragione si può pensare che la simbologia apotropaica delle corna sia stata traslata al sintagma ferru ‘e cuaḍḍu riferito a un pane.

 da http://4fuochiblog.blogspot.it/


Frazer (Il ramo d’Oro 625) ricorda che l’Epifania è l’epilogo dei dodici giorni del Caput Anni durante i quali vari popoli europei scacciano le streghe e gli spiriti maligni. Ciò accade specialmente alla Dodicesima Notte, all’Epifania (non a caso la Befana è rappresentata come una strega), durante la quale sul lago di Lucerna i ragazzi girano in processione recando torce e facendo un gran baccano con corni, campane, fruste, ecc. per mettere in fuga due spiriti femminili del bosco, Strudeli e Strätteli. Per il resto, lo stesso Frazer non mette in evidenza la funzione del corno e del suo simile sardo-siculo, che è il ferro di cavallo. A me la questione appare semplice: le doppie corna del cranio del toro e, per imitazione, le doppie corna atteggiate con le dita della mano, rappresentarono nell’alta antichità il simbolo del Dio-Toro, ossia del Dio dell’Universo, di colui che sovrintende alla fertilità della terra. L’uso delle corna come “salvacondotto” c’è sempre stato, ed effigiarle sulla porta (od apporvi direttamente il bucranio) fu un diffusissimo uso sacro. Quelle corna ebbero nel passato la stessa funzione che ha oggi il Sacro Cuore o le varie statuette dei Santi cristiani posti sull’uscio o dentro casa. Chiaramente, la funzione di questi simboli sacri è apotropaica, serve ad allontanare il Male dalla casa, dalla famiglia.
Il ferro di cavallo è un prodotto seriore rispetto alle vere corna, arrivò con la metallurgia, e la sua vaga forma di corna lo destinò ad essere mutuato per la stessa funzione.
Da qui, non da altro, nacque la paronomasia che oggi porta ad accettare la denominazione di ferro di cavallo (in sardo ferru ‘e cuaḍḍu) come unico referente del doppio simbolo apotropaico (che in origine furono le doppie corna).
Ma vediamo dove s’annida la paronomasia. Il sintagma è certamente sardiano e pure sicano (quindi mediterraneo), ed è basato sull’accadico per’u(m) germoglio’ + ḫabālu(m) ‘legare’, col significato complessivo di ‘piantina per legare (per inibire le male azioni)’. In tal guisa, sembra di capire che in origine esisteva una piantina (oggi ignota, forse il vischio) deputata ad inibire gli spiriti maligni, e che questa denominazione col tempo sia passata tout court al ferro di cavallo.
A quanto pare, il pane così denominato ebbe anch’esso, la funzione apotropaica, e forse all’iniziò imitò questo ignoto virgulto, per poi adattarsi a rappresentare una vaga forma di ferro di cavallo.



domenica 4 gennaio 2015

Il Ciceòne

Il Ciceòne
di Salvatore Dedòla

 Si ritiene che i riti misterici abbiano fatto la loro apparizione in Grecia nell'età arcaica, forse tramite Cipro e Creta. Tali riti però erano già noti nelle civiltà del Vicino Oriente. Sin dal Neolitico l'uomo è stato avvezzo al sacerdote/sciamano quale figura essenziale per il ruolo d'intermediazione con le forze dell'ineffabile, e ciò spingeva lo sciamano a superare le barriere delle religioni ufficiali per tentare in qualche modo di ricomporre la scissione con Dio.
 Per l’antichità sono noti i misteri di Iside-Osiride, di Mitra, di Eleusi, di Samotracia, di Adone, di Attis-Cibele, ed i misteri Orfici. Quello di Mitra era l’unico mistero cruento, in quanto si sacrificava il toro, in ricordo del Toro primordiale. i Misteri greci erano di tutt'altro nerbo rispetto a quelli siro-fenici attecchiti in Sardegna. L'orfismo greco non solo ripudiava i sacrifici umani e persino quelli degli animali, ma tendeva ad elevare il livello della ricerca interiore, della rigenerazione spirituale dell'uomo, della fratellanza universale.
 L'appellativo greco mýstēs (μύστης) indica l'iniziato ai misteri; originariamente era il 'partecipante al rito notturno', onde mysticós (μυστικός) 'arcano', mystérion (μυστήριον) 'pratica segreta, dottrina segreta, cerimonia segreta'. La comune base etimologica è l'akk. mušītu (‘notte’, o meglio ‘tempo di notte’). La segretezza dei Misteri greci, al pari di quelli siro-fenici, fu mantenuta rigorosamente per tutta l'antichità; sappiamo soltanto che ad essi parteciparono uomini illustri come Pindaro, Aristofane, Euripide, Platone, Aristotele, Empedocle, Pausania, Cicerone, Elio Aristide, Marco Aurelio, Apuleio ed altri.
 Ma qual era la funzione storico-spirituale dei Misteri Eleusini nell'antichità greca?

 Essi venivano incontro ad un profondo bisogno psichico, a un forte desiderio spirituale. C'era bisogno d'integrare le due coscienze dell'uomo diviso, di mettere d'accordo la coscienza con la realtà. Misteri strettamente legati alla morte e alla resurrezione della Natura e dell’Uomo, rappresentata ideologicamente dalla morte e resurrezione di un Dio. Ogni popolo ebbe un proprio Dio che scendeva all'Inferno e poi resuscitava. La continuità e contiguità della tradizione mediterranea non sta solo qui, ma pure nella discesa agl'Inferi da vivi. Anche nell'antichità greca abbiamo superuomini e déi che scendono all'Ade e risalgono. Orfeo per la sposa Euridìce, Diòniso ci va a prelevare la madre Semele, Enea scende per parlare a suo padre. I Misteri di Eléusi erano intimamente legati ai festeggiamenti e alle celebrazioni in onore di Diòniso. Il padre Zeus aveva ceduto lo scettro a Diòniso ancora bambino, e lo aveva presentato come nuovo re. I Titani attirano Diòniso, lo uccidono e, fattolo in sette pezzi, lo cucinano e lo mangiano; solo il cuore si salva grazie a Pallade/Atena. Così nasce un nuovo Diòniso. Secondo Euripide, Diòniso è figlio della tebana Sèmele ed è presentato come straniero. Stranieri sono, in realtà, tutti quelli che nascevano a Tebe. Così lo fu il suo fondatore Cadmo, che proveniva dalla Fenicia. Ed in tal guisa arguiamo che i riti dionisiaci avevano una certa affinità con quelli del fenicio Adone. É lecito usare il termine orfismo come comoda semplificazione per indicare un insieme di miti e credenze, la ricerca di un certo tipo di vita, il divieto di sacrifici cruenti, la fede dell'anima custodita nel corpo per scontare le proprie colpe, la punizione dopo la morte per i profani, la beatitudine per gli iniziati.

da http://www.antika.it/005575_mitra-culto-in-epoca-romana.html


 Ogni anno migliaia di Greci andavano in processione verso il tempio segreto. Davanti al sacerdote, dopo lungo digiuno e lunghe purificazioni, agli iniziati veniva offerto il ciceòne (una bevanda sacra, che si dice basata sulla segale cornuta, un allucinogeno). «Le visioni che di lì a poco si presentavano ai loro sguardi erano di un'intensità e di una chiarezza straordinarie. Molte sono le testimonianze degli antichi che parlano di immagini divine e ineffabili, dove la morte e la vita acquistano un senso nuovo, circolare, ed il terrore svanisce in quell'estasi senza fine. Erano le stesse visioni dei sapienti, i padri dei filosofi» (Roberto Fedeli).
Ma voglio capire più a fondo cosa sia il ciceone. I Greci scrivevano κϋκεών e intendevano una miscela o bevanda di farina, cacio e vino, o anche miele (Iliade, 11,624); ma talora aggiungevano altre cose (Ippocrate, 390). Ovviamente gli indoeuropeisti affiancano il nome al verbo greco κυκάω ‘mescolo’ e lì si fermano, senza produrre l’etimo. Non sanno che il termine fu usato, con forma identica, anche in Giona 4, 6-7, dove lo si intese come Ricinus communis: kīkaiòn, קִיקָיוֹן. Dobbiamo supporre che l’olio di Ricino fosse conosciuto presso gli Ebrei quale ottimo purificante. E che la stessa conoscenza fosse estesa ai Greci. Anzi, dobbiamo credere che la miscela purificatrice del celebre ciceòne fosse più complessa, contenente pure una buona dose di olio di ricino, in virtù del quale il devoto si purificava al massimo e, praticando il digiuno durante la permanenza nel luogo sacro, si predisponeva al meglio per cogliere i momenti di alta spiritualità. In Sardegna il termine ebraico riuscì certamente ad imporsi. Ma dobbiamo ammettere che in seguito esso sia sparito, a causa del concorrere di fonetiche simili relative ad altri fitonimi che prevalsero.
Tra questi abbiamo Caccaòne, Càccao, diventato persino un toponimo del Supramonte di Baunéi, ma presente in altra forma anche nel territorio di Laconi (altopiano di Santa Sofia). Denota il 'biancospino' (Crataegus oxyacantha, var. monogyna). Caccaòne è anche il ‘picciolo, peduncolo di frutta e di foglia’, che sembra italianizzazione per cacchiòne. Pittau UNS 146 riporta anche il cognome sardo-medievale Cacabu, Cacau derivante dall'antroponimo lat. Cacca¬bus; ma questo a sua volta sembra oriundo dall'accadico, che è kakkabu 'stella'. Alla base di Caccaòne di Baunéi sta l'akk. qaqqadu, ebraico qōdqōd 'capo, vertice' (PSM 96) + sum. unu ‘sito’, col significato di ‘vertice, cima’, ‘sito della cima’. Su Caccaéddu in agro di Laconi significa invece ‘la cima sacra’, da ebr. qōdqōd + akk. ellu ‘sacro, santo’ (evidentemente c’era un tempio). Un altro lemma sardo caccaéḍḍu indica il ‘biancospino’ (vedi gall. caccaéḍḍu); secondo Paulis NPPS 366 ha tale nome «perché le foglie e i frutti sono usati per curare le diarree». Invece il fitonimo è un composto sardiano con base nell’akk. kakku (a small legume) + ellu(m) ‘pure, clear’ e simili, col significato di ‘legume ottimo’. È noto che i rossi frutti del biancospino si mangiano con piacere, e se ne fanno pure marmellate. Da qui il composto sardiano.