venerdì 27 luglio 2012

il pane dei pastori



di Fiorenzo Serra, Sardegna 1962

martedì 24 luglio 2012

Il Gigante Rosso

Il Nuraghe Arrubiu di Orroli.

http://www.fontesarda.it/imgsarde/nurarr21.htm



Vicino ad Orroli nella Sardegna centrale troviamo il Nuraghe Arrubiu, che significa "rosso" con allusione al colore che può assumere il basalto, spesso ricoperta da licheni. Si tratta di un nuraghe pentalobato i cui lavori di scavo sono molto recenti, nel sito archeologico sono stati trovati anche dei reperti dell'epoca romana con strumenti per preparare il vino. Come spesso succede gli insediamenti che avevano una dislocazione particolarmente favorevole venivano utilizzati anche nelle epoche successive.
L'imponente struttura raggiunge i 15 metri di altezza e quasi 3000 mq come area. Purtroppo gli interventi archeologici veri e propri risalgono al 1981. Intorno alla torre centrale sorgono altre 5 torri, collegate l'una all'altra da imponenti muraglioni rettilinei, con un cortile irregolarmente pentagonale al centro.


lunedì 23 luglio 2012

Ichnusa - etimologia del termine secondo Salvatore Dedola



ICHNÙSA

I Greci ebbero la sorte di tramandare ai posteri molte opere scritte, e mediante esse hanno imposto la propria ragione presso gli studiosi dei moderni atenei, i quali a quei testi restano fideisticamente attaccati come all’unica verità. E così sembra a tutti lapalissiano che i nomi più antichi della Sardegna siano stati, in concorrenza tra loro, i seguenti quattro di tradizione greca:̉Ιχνοũσσα, Σανδαλιοτίς o Σανδαλώτη, ̉Αργυρόφλεψ, Σαρδώ(Sardinia presso i Romani).
Ma intanto nessuno ha notato che la Sardegna, in tal guisa, ricevette una considerazione immensa nel mondo greco-latino, poiché l’essere chiamata in tanti modi (che in definitiva sono sei) non era indice di scarsa frequentazione dell’isola – com’è lamentela generale – ma il contrario: era segno che tutte le flotte del Mediterraneo conoscevano bene i suoi approdi, e ogni flotta individuava l’Isola con un nome preciso.
A quei tempi mancavano le convenzioni geografiche internazionali, e ogni popolo del bacino greco chiamava l’Isola al modo che le singole marinerie si tramandavano. La tradizione greca riporta tali versioni, che però vengono limitate (consapevolmente) a quelle che circolavano nel bacino d’utenza. Furono omesse quindi le versioni semitiche, per la ragione che la Grecia, nella colonizzazione del Mediterraneo, si trovò sempre in aspra concorrenza coi Fenici, dei quali bisognava occultare e contrastare gli interessi anche su questo piano.
Vediamo per esteso le versioni di parte greca (e conseguentemente di parte romana). Lo Pseudo Aristotele scrive: «Quest’isola, come sembra, una volta veniva chiamata Ichnussa (̉Ιχνοũσσα) in quanto il suo perimetro riproduce una figura di molto simile all’impronta di un piede umano». È la prima notizia in assoluto, tramandata nel IV sec. a.e.v. Plinio, N.H. III, scrive: «Sardiniam ipsam Timaeus Sandaliotim appellavit ab effigie soleae, Myrsilus Ichnusam a similitudine vestigii» (i due studiosi citati da Plinio sono del IV sec. a.e.v.). Sallustio, II, scrive nel I sec. a.e.v.: «La Sardegna, situata nel mare Africo, ha la forma di un piede umano».
Da scrittore a scrittore, ̉Ιχνοũσσα (o ̉Ιχνοũσα) e Sandaliotis furono i due coronimi più tramandati, e tutti gli scrittori li riferirono alla ‘impronta di un piede umano’ ( ̉Ιχνοũσα) o a un sandalo (Sandaliotis): vedi Silio Italico, Manilio, Pausania, Aulo Gellio, Solino, Esichio (Σανδαλώτη), Claudiano, Isidoro, Paolo Diacono.
Se ne discosta lo Scolio al Timeo di Platone: «Costui (Tirreno), salpato secondo un vaticinio dalla Lidia, giunse in quei luoghi (= nel mare Tirreno) e da Sardo, moglie di lui (prese nome) sia la città di Sardis nella Lidia, sia l’isola che prima era chiamata Argiròfleps ( ̉Αργυρόφλεψ) e adesso Sardinia (Σαρδώ)».
Non metterebbe conto fare osservare che il greco ̉ίχνος ‘orma, traccia’, originariamente ‘segno, figura’, corrisponde all’akk. šiknum (lat. signum) ‘figura, immagine’, ‘posizionamento’ del piede. Il termine è quindi mediterraneo, non solo greco. Comunque sia, il greco ̉Ιχνοũσα, in quanto ‘Sardegna’, non ha la base in ̉ίχνος (mi spiace deludere quanti ci hanno creduto): è invece una paretimologia. Ciò non toglie che il coronimo, impostosi con la nota semantica e per le ragioni suddette, sia stato creduto il prototipo che racchiude e dimostra tutta la verità. Una verità indiscutibile, a cominciare dall’assurdità che i Greci (o chi, se non loro?) avessero misurato accuratamente la forma dell’isola già qualche millennio prima dell’Era volgare, ossia da quando il coronimo esisteva per suo conto, e quando essi, in quanto popolo, stavano ancora in mente Dei. Per contro, dobbiamo concederci, una volta tanto, la licenza di osservare la questione dal punto dei vista dei Sardi proto-nuragici e dei Sardi nuragici, ai quali possiamo accordare che abbiano abitato l’isola di ̉Ιχνοũσα quando ancora il popolo greco non esisteva, in un’epoca in cui, oltre ad erigere i superbi nuraghi, gli artisti sapevano scolpire le statue di Monti Prama. Ebbene, chiediamocelo: i Sardi o Sardiani (o Shardana: nome caparbiamente rifiutato da chi non vuole comprendere) dovettero veramente aspettare la nascita del genio greco per chiamare ̉Ιχνοũσα la propria isola? O dovettero prima attendere le visite dei Fenici?
̉Ιχνοũσα è proprio una paretimologia. Basterebbe questo a dimostrarlo: quando il coronimo sortì, mancavano quattro secoli al talento matematico di Claudio Tolomeo (circa 150 post e.v.), il primo geografo ad aver descritto l’Europa e la Sardegna con procedimenti ed approssimazioni che saranno resi migliori soltanto dai geografi dell’Età moderna. I geografi greci (e latini) precedenti Tolomeo descrissero l’isola col sistema dei peripli e con misure assai discordanti tra geografo e geografo, comunque imprecise, ingestibili. Nessuno di loro riuscì mai a dimostrare nei fatti ciò che il toponimo ̉Ιχνοũσα pretendeva descrivere: l’impronta d’un piede umano, o di un sandalo (Sandaliotis).
̉Ιχνοũσα, ̉Ιχνοũσσα è una perfetta paretimologia, ed ha la base antichissima nell’akk. iqnû‘lapislazzuli, turchese’, ‘smalto blu’ + - ‘the X-man’, in composto iqnû- > Iqnusa, che significa ‘l’uomo del Grande Verde’ e parimenti ‘quella (l’isola) del Grande Verde’.
Inutile nascondere l’evidenza: la Sardegna 3000-6000 anni or sono era nota come l’isola dei miracoli per la sua straordinaria feracità, per l’incredibile boscosità, per le numerosissime saline, per essere totalmente circondata da banchi di corallo rosso, per produrre enormi quantità di murici destinati alla porpora, principalmente era nota per le sue miniere. Non è un caso che sia stata chiamata pure ̉Αργυρόφλεψ, che in greco significò ‘dalle vene d’argento’.
La fama di “isola dei miracoli” spaziava specialmente nel bacino semitico, e non fu un caso che poi i Fenici si tennero stretta l’isola. Furono proprio questi, assieme agli Ebrei coi quali navigavano in stretto comparaggio, a dare all’isola un nome più appropriato alla visione del proprio mondo e della propria religione. La chiamarono Kadoššène, (Kadoš-Šēne = ebraico-fenicio ‘Madre Santa’). Precisamente kadoš ebr., qdš fenicio = ‘santo, sacro’; šn’ fenicio ‘maestro’ ma anche un certo tipo di ufficio (sacro). Nel fenicio šn’ sembrerebbe di poter cogliere quella che per gli Ebrei fu la Terra Santa, la Terra Promessa.
Questo termine in Sardegna rimase in uso fino a tutto il ‘700, ossia sino a tre secoli fa, con la pronuncia Cadossène, ed ancora oggi è ricordato, ed usato pure nelle insegne dei negozi (Nuoro).
Con ciò constatiamo che il coronimo indicante la Sardegna ha tre fonti: una sembra venire dal mondo greco, l’altra proviene senz’altro dai Fenici-Ebrei; la terza proviene senz’altro dai pre-Lidi, i quali con tale nome gentile vollero fare omaggio a Sardò, moglie di Tirreno. A ben vedere,Sardinia o Sardò è l’unico coronimo ad essere datato, poiché da Erodoto, I, 94, sappiamo quando i Lidi (pre-Lidi) mossero, guidati da Tirreno, verso il Mediterraneo occidentale.
Dicevo che una delle tre fonti “sembra venire dal mondo greco”. Sembra, ma non è. Ai Greci, mirabili contraffattori di nomi e toponimi altrui, fu facile credere che Ιχνοũσα, Σανδαλιοτίς significasse ‘quella dell’orma’, ‘quella del sandalo’, e rafforzarono tale illusione per il fatto che i naviganti fenici dicevano Kadoššène. Essi sapevano che in semitico -šēn significava pure ‘sandalo’ (così è l’akk. šēnu ‘sandalo’), e sapevano che l’akk. šiknum (lat. signum) ‘figura, immagine’, ‘posizionamento’ del piede, rafforzava la propria intuizione; onde gli fu facile intendere l’akk. iqnû- > Iqnusa come ‘orma del piede’, anziché nel suo vero significato di iqnû ‘lapislazzuli, turchese’, ‘smalto blu’ + - ‘the X-man’, ša ‘colei che’, in composto iqnû-iqnû-ša > Iqnusa, ossia ‘quella (l’isola) del Grande Verde’.


http://shardana51.altervista.org/Shardana.htm

Così andò la questione nei bacini marinari frequentati dai Greci, e, gravida di tale equivoco, l’autorità dei Greci ebbe presa pure nel mondo romano.
Resta da chiarire perché l’akk. Iqnuša significa ‘Isola del Grande Verde’ (o ‘Quella del Turchese, del Lapislazzuli’). Semplicemente perché in epoca arcaica, quando tutto lo scibile delle antiche civiltà aveva un senso, la Sardegna era nota in tale modo. Isola del Grande Verde era un coronimo antonomastico, poiché l’isola era incastonata al centro del Mediterraneo (chiamato ilGrande Verde), lontana da ogni costa, distante ma attrattiva per tutte le sue ricchezze.
Il Grande Verde: così lo chiamavano pure gli Egizi. E quando descrissero i Popoli del Mare, affermarono sempre che provenivano dal Grande Verde, da loro detto Uatch-ur, ‘the Great Green water’, ossia il Mare Mediterraneo. A saperlo interpretare foneticamente, l’egizio Uatch-ur è la base etimologica da cui deriva pure il ted. Wasser e l’anglosassone water. Parola mediterranea e pan-europea, questa, che però non replicava, se non nella semantica, il modo in cui gli Accadi, gli Assiri e i Babilonesi chiamarono per proprio conto il Mediterrraneo: Iqnû- ‘quello (il mare) del Lapislazzuli’.
Per il resto, gli Egizi seppero distinguere bene quando indicarono le varie parti del Mediterraneo. Quindi scrissero pure Uatch ura āa Meḥu, the ‘Very Great Green Water of the North Land’ i.e., the Mediterranean Sea; ma scrissero Uatch ur ḥau nebtiu ‘the Ionian Sea’, con una evidente distinzione.
Dopo questa ampia disamina della questione, ora sappiamo la vera origine di Ichnùsa. Ed abbiamo guadagnato finalmente pure una seconda certezza: che i celebri Shardana, gli invasori del Delta, uno dei Popoli del Grande Verde, non potevano che avere la propria base in Sardegna, a dispetto degli stuoli di archeologi che ancora lo negano a vantaggio della Sardi anatolica.

fonte : http://www.linguasarda.com/home.php

giovedì 19 luglio 2012

La Sardegna Antica

da 
Quotidiano di storia e archeologia
DIRETTO DA PIERLUIGI MONTALBANO

HTTP://PIERLUIGIMONTALBANO.BLOGSPOT.COM

Dalle origini al nuragico

 Mesolitico
 Le uniche tracce mesolitiche (10.000-6.000 a.C.) finora rinvenute in Sardegna risultano essere quelle della Grotta Corbeddu di Oliena, nella costa baroniese. Gli scavi hanno messo in luce resti di cervidi e di Prolagus sardus (roditore estinto), in vari casi recanti tracce di fuoco, fatto che ne rivela la cottura e il consumo alimentare da parte dell’uomo. Neolitico Il Neolitico, o età della pietra levigata, ha inizio in Sardegna intorno al 6.000 a.C. Fu questo un periodo di grandi innovazioni, determinate dal miglioramento del clima, dall’introduzione dell’agricoltura e dell’addomesticamento degli animali, dall’invenzione della ceramica. Soprattutto l’agricoltura contribuì al cambiamento dello stile di vita delle popolazioni le quali, da nomadi, diventarono col tempo sedentarie. Le genti erano sparse nell’isola, organizzate in piccole comunità che, per comodità di definizione, oggi accomuniamo in “culture” con aspetti omogenei (tipologie ceramiche, abitative e funerarie). Una caratteristica del neolitico sardo fu inoltre il commercio nel Mediterraneo di importanti risorse, come l’ossidiana, la selce e, nel periodo più recente, anche il rame.

 Neolitico antico
 Il neolitico antico (6000 - 4000 a.C.) si divide in due fasi, Su Garroppu (Carbonia) e Filiestru (Mara), dai nomi delle grotte dove sono stati effettuati i rinvenimenti più importanti. Gli elementi caratteristici sono gli abitati in grotta o ripari naturali e la ceramica impressa del tipo cardiale. L’ossidiana della miniera del Monte Arci, nell’Oristanese, svolgeva in quest’epoca la fondamentale funzione di vettore per gli scambi commerciali e culturali nel Mediterraneo. Le varietà sarde del prezioso vetro vulcanico, infatti, sono state ritrovate in Corsica, Italia centrale e Francia meridionale. 

 Neolitico medio
 Il neolitico medio (4000 - 3400 a.C.) è caratterizzato dalla cultura di Bonuighinu, dall’omonima grotta in territorio di Mara, nel Sassarese (la grotta è anche chiamata Sa Ucca de Su Tintirriolu), che per la prima volta ne restituì le testimonianze. Queste genti vivevano organizzate in comunità agricole, abitavano prevalentemente in grotta, ma anche in primitivi villaggi all’aperto. Seppellivano i morti in grotte naturali ed in fosse scavate nel terreno; il corredo funebre era costituito da ceramiche e da statuine della dea-madre dalle abbondanti forme. Gli uomini del neolitico medio si nutrivano di molluschi terrestri e marini, come il cardium, e adoperavano utensili litici e ossei. Interessati da un processo di incremento demografico, sperimentarono vari tipi di colture, come l’orzo, la lenticchia e il grano, e allevarono buoi, pecore e capre. La produzione ceramica, dal colore nero o bruno lucidissimo, è inornanta o con eleganti decorazioni impresse o incise (puntinato) a festoni, triangoli isolati o composti “a dama”. 

 Neolitico recente 
È caratteristica del neolitico recente (3400 - 3200 a.C.) la facies San Ciriaco- Cuccuru Is Arrius. Si tratta di una evoluzione della cultura di Bunuighinu e prende nome da due località, rispettivamente in territorio di Terralba e Cabras, nell’Oristanese. Compare in una ventina di siti ed è caratterizzata da ceramica non decorata; tipica la coppa a colletto con prese a rocchetto. È questo un periodo di grandi innovazioni e di contatti con il Mediterraneo orientale e la penisola italiana. Compaiono le prime tombe a grotticella artificiale o domus de janas (Cuccuru Is Arrius) ed a circolo megalitico (Li muri-Arzachena), queste ultime segnalate da piccoli menhir. La religiosità si manifesta nelle statuette di dea-madre in stile geometrico-volumetrico, che esaltano un ideale di bellezza fertile e abbondante e che danno il segno del preminente ruolo della donna nella società neolitica (Cuccuru Is Arrius, Decimoputzu). 


 Neolitico finale 
Nella grotta di San Michele, presso l’attuale abitato di Ozieri, nella regione del Monte Acuto, vennero per la prima volta alla luce i materiali della cultura che principalmente documenta il neolitico finale in Sardegna (3200 - 2800 a.C.). Tale cultura, detta per questo di San Michele (o di Ozieri), è forse il risultato di un influenza etnica orientale, cretese o cicladica, sul sostrato indigeno. La società è articolata, tende al miglioramento delle tecniche agricole, commercia le ricchezze minerarie, quali l’ossidiana, la selce e, per la prima volta, il rame. Si vive in villaggi di capanne fatte di frasche e si seppellisce nelle domus de janas, nei dolmen, nelle allées couvertes e nei circoli megalitici; spesso sono presenti i menhir ( perdas fittas, nella lingua sarda). La ceramica, che insieme a quella dei tessuti, stuoie, vesti e cestelli, è una produzione prettamente femminile, presenta nuove forme (tazze carenate, pissidi, tripodi con piedi a punta) e decorazioni a incisione, impressione o incrostazione, con motivi a spirale, festoni, cerchi, figure stellari e umane. La complessità culturale e spirituale della fase Ozieri è rappresentata anche dalla produzione artistica: gli idoli antropomorfi raffiguranti la Grande Dea Madre mediterranea si evolvono verso la stilizzazione della figura umana, che si assottiglia secondo uno schema a placca cruciforme. 

http://vacanzesardegna.blog.tiscali.it/files/2010/11/villaggio_tiscali1.jpg

 Eneolitico o Calcolitico 
Il passaggio dal neolitico all’eneolitico o calcolitico (2800-1800 a.C.) avviene in maniera lenta e graduale, ed è fondamentalmente caratterizzato dalla tendenza all’abbandono dell’ossidiana in favore della produzione metallurgica. La lavorazione ed il commercio del metallo si associano alla pastorizia e all’agricoltura, dando luogo ad un processo di trasformazione economica e sociale che porterà alle più evolute culture del bronzo. Il processo ha in effetti inizio nelle fasi finali del neolitico, ma è l’eneolitico a dargli un impulso determinante, poiché segna l’incremento dell’importanza della Sardegna nella rete di scambi tra le genti del Mediterraneo occidentale (Spagna, Francia meridionale) e centro-europee; si indeboliscono invece le influenze orientali che erano state tipiche del neolitico (Cicladi, Creta, Malta, Grecia). Le culture dell’eneolitico sardo sono probabilmente l’espressione di piccoli gruppi che, giunti nell’isola proprio dall’Europa, occuparono le sedi scelte precedentemente dagli uomini San Michele. La società, che va diventando guerriera e a dominio maschile, non limita dunque più la propria economia alla semplice sussistenza, ma inizia a fruire di veri e propri beni di consumo: lavora le materie prime, di cui l’isola è ricca (rame, argento, arsenico, piombo), realizza il prodotto finito, guadagna dal commercio e accumula eccedenze. 

 Cultura Sub-Ozieri, Filigosa
 Le facies Sub-Ozieri/Su Coddu di Selargius e Filigosa sono rappresentative dell’eneolitico iniziale sardo (2800-2600 a.C.) e si pongono sulla linea evolutiva della cultura tardo-neolitica di Ozieri. La prima facies è stata individuata in vari siti del Campidano (il principale in località Su Coddu, Selargius), con resti di abitazioni e ceramiche di tradizione Ozieri e di influenza mediterraneo-orientale. La seconda facies prende nome dalla necropoli di Filigosa (Macomer), caratterizzata da domus de janas precedute da un lungo corridoio scoperto. Di eccezionale interesse il monumentale tempio-altare di Monte D’Accoddi (Porto Torres), con rampa inclinata d’accesso, piattaforma tronco-piramidale e sacello sovrastante, la cui forma richiama le ziqqurat mesopotamiche (fasi Sub-Ozieri, Abealzu).

 Cultura Abealzu 
La cultura di Abealzu, dall’omonima necropoli in territorio di Osilo, caratterizza l’eneolitico medio sardo (2600-2400 a.C.). E’ da attribuire a queste genti la produzione delle prime leghe e dei primi pugnali di rame (tomba di Serra Cannigas, Nuraminis-Villagreca). Le espressioni materiali della cultura Abealzu, tra questi i tipici vasi a fiasco con bozze mammellari, richiamano contesti dell’Italia tirrenica centro-meridionale e padana, dell’area franco-elvetica, della Corsica, dell’area siculo-eoliana e della Grecia. Sono di quest’epoca anche le più antiche forme di statuaria dell’isola. L’area del Sarcidano-Mandrolisai ha infatti restituito numerosi esemplari di menhir protoantropomorfi e antropomorfi e di statue menhir maschili e femminili, le cui tipologie trovano riscontri nell’area alpina, Trentino e Lunigiana. Notevoli le statue-menhir “armate”, recanti scolpito il pugnale, simbolo del potere, ed il “capovolto”, simbolo del defunto, probabilmente interpretabili come simulacri di eroi divinizzati. 

 Cultura Monte Claro
 L’eneolitico recente (2400-2100 a.C.) vede affermarsi nell’isola la cultura di Monte Claro, dal colle cagliaritano che ne restituì per la prima volta, in un ipogeo funerario a pozzetto, la caratteristica ceramica. In questa fase, l’incremento demografico, l’estendersi delle superfici coltivate ed il perfezionamento delle tecniche agricole, spingono la popolazione a ricercare una più elevata qualità di vita. Pur utilizzando ancora l’abitazione in grotta di tradizione neolitica, le comunità Monte Claro si insediano preferibilmente nei villaggi, organizzandovi gli spazi abitativi e le pertinenze agricole (San Gemiliano di Sestu, Monte Olladiri di Monastir). Sorgono i primi edifici megalitici (Villagreca, Olmedo, Oliena, Castelsardo). Vengono utilizzati vari rituali di seppellimento: in grotta, più spesso negli ipogei a corridoio megalitico o a pozzetto con più vani (Monte Claro, Sa Duchessa, Cagliari), o in ciste litiche (San Gemiliano, Sestu) e dolmen (Motorra, Dorgali). La ceramica è caratterizzata da forme a situla e decorazioni a solcature e costolature parallele. Lo spirito guerriero delle popolazioni si manifesta nella metallurgia, soprattutto nei tipici pugnali di rame a lama lanceolata, frutto forse di tecniche di fusione e di colata provenienti dall’esterno od opera di stranieri giunti nell’isola. 

Cultura del Vaso Campaniforme 
Sul finire dell’eneolitico (2100-1800 a.C.), l’isola viene interessata da una corrente culturale che dalla penisola iberica si diffonde nel territorio europeo ed oltre. La contraddistinguono alcuni tipici oggetti: innanzitutto il beaker a campana rovesciata con decorazioni ad incisione e punteggiato (vaso campanifome), ma anche scodelloni similmente decorati, bottoni in osso con perforazioni a “v”, pendenti a crescente lunare, punte di freccia in selce ad alette squadrate, brassard e un particolare tipo di pugnale. Delle genti portatrici di tali produzioni materiali s’ignorano l’origine razziale, le modalità insediative, l’organizzazione socio-economica e l’ideologia: sembra peraltro accreditabile l’ipotesi di un loro arrivo nell’isola a piccoli gruppi e a diverse ondate, con tendenza all’integrazione con le popolazioni indigene. I materiali sardi provengono da domus de janas riutilizzate, tombe a cista, fosse terragne, dolmen e grotte. Molto prezioso è un corredo di oggetti d’ornamento proveniente dalla sepoltura di Padru Jossu (Sanluri).

 Fonte: www.apolidesardus.altervista.org



martedì 10 luglio 2012

La principessa Tsìppiri

Albertina Piras              
Mauro Atzei
Pierluigi Montalbano
TSI’PPIRI 
Una storia d’altri tempi, raccontata in questi tempi

dal blog 

http://sardegnaomnia.altervista.org/shardana-i-veri-padroni-del-mediterraneo/





(scritto da Pierluigi Montalbano)




Sono lieto di annunciare a tutti gli amici del quotidiano on line, che oggi, 10 Luglio 2012, è stato pubblicato Tsìppiri, un romanzo storico ambientato nel 540 a.C.
Il libro in formato pdf è scaricabile gratuitamente al link  http://www.tsippiri.sardu.eu/download/tsippiri.pdf


E' un lavoro che ha coinvolto un gruppo di 3 "amici" che non si conoscono personalmente, due disegnatori che hanno contribuito a "visualizzare" parte della storia, e un tecnico che ha provveduto a inserire in rete tutto il materiale. 

Abbiamo deciso di offrire, sempre gratuitamente, una serie di pagine di presentazione relative al libro al link: www.tsippiri.sardu.eu .

http://pierluigimontalbano.blogspot.it/