venerdì 21 giugno 2013

Filo della Pace 2011 discorso del maestro di bisso Chiara Vigo

venerdì 14 giugno 2013

La capanna sudatoria nella Sardegna della preistoria - Sedda 'e sos carros Oliena



Ho riportato di seguito un commento pubblicato sul post Il complesso di Sedda 'e sos carros di Oliena per due motivi secondo me molto importanti: innanzitutto tramite lo studio multisciplinare (che purtroppo nella ricerca condotta in Sardegna stenta ancora a decollare) si possono inquadrare e ricostruire tanti aspetti ancora sconosciuti e molto importanti relativi alla spiritualità (e non solo) del passato, in secondo luogo (ma per questo non meno importante del primo) ho potuto constatare felicemente che tramite appunto la collaborazione tra esperti di diverse discipline (siano essi all'interno dell'ambito accademico e non) si possa dare forma e colore ad un monumento caro a gran parte dei Sardi. Mille grazie alla competenza di Mauro Atzei per il bellissimo regalo che mi riempie di una gioia immensa.


Caro Marcello, leggevo proprio oggi il tuo interessante resoconto sul sito sacro di sedda e sos carros. Mi pare che siano passati non molto più di due mesi da quando ho avuto l'occasione di seguire, proprio relativamente a questo bellissimo complesso rituale situato in territorio di Oliena, la conferenza dell'archeologa nugorese Gianfranca Salis che ne parlò con profusione di particolari. A parte il grande dispiacere nell'apprendere dei danneggiamenti subiti dalle nove protomi d'ariete, giustamente prelevate dalla sovrintendenza per meglio tutelarle e sostituire con delle coppie fedeli, l'impressione che quel tipo di vasca dotata di fornelli esterni per il riscaldamento dell'acqua (simile nella tipologia come tu hai giustamente riportato a quelle di Serra Orrios a Dorgali e di Su Romanzesu a Bitti), oltre che per le forme circolari del complesso, fanno pensare ad un impianto tipo temazcal per la creazione di un ambiente sacro del sudore. Io penso che l'impianto, chiuso a tholos, come gli studiosi suppongono fosse in origine, fosse una sofisticatissima capanna sudatoria in stile nuragico, probabilmente antesignana delle capanne sudatorie da li a venire. Il sospetto è che già in diverse tombe dei giganti i nuragici svolgessero queste tipologie rituali. Tuttavia, alla fine del bronzo, certamente, il sincretismo avvenuto con l'esorcizzazione di miriadi di nuove divinità, cioè con l'esercizio dell'animismo sempre più spinto, messo in mostra con la produzione della bronzistica sacra, ha segnato anche un balzo in avanti nella realizzazione di capanne sudatorie certamente architettonicamente molto elaborate e sofisticate. Il rituale che le sacerdotesse svolgevano in questi piccoli edifici cultuali erano simili senz'altro a quelli che si svolgono ora tra i nativi americani. Chi ha fatto esperienza dell'effetto mistico indotto da questo genere di pratiche (io lo feci sotto la saggia guida di una anziana sciamana maya)sa che lo scopo principale, oltre al rituale della purificazione spirituale e fisica tout court, è quello di avere con facilità, la trance estatica che porti con se la "visione mistica". 
Mauro Atzei



Riporto di seguito l'articolo di Riccardo Fioravanti su http://ecatemethod.blogspot.it/2012/11/cose-la-capanna-sudatoria.htmlcon un breve resoconto esplicativo :
La Capanna Sudatoria è un antico rituale che appartiene a diverse culture Native del pianeta. I bagni di vapore per scopi di purificazione e rigenerazione nascono nella notte dei tempi. In molti casi, tali pratiche erano e sono tutt’ora considerate riti spirituali, in altri casi in tempi più recenti, si sono trasformate in usanze moderne per la ricerca del benessere psicofisico, come ad esempio la sauna finlandese che tra essa stessa origine da antiche pratiche sciamaniche del nord Europa o i bagni di sudore termali praticati nella nostra terra dagli antichi Etruschi prima e dai Romani poi.
La Capanna Sudatoria che conduco nasce dalle mie esperienze vissute negli Stati Uniti con i Nativi d’America che considerano tale pratica una cerimonia spirituale di purificazione per il corpo, le emozioni, la mente e lo spirito. Ho svolto molte capanne in diverse tribù delle Americhe; ho partecipato a centinaia di Inipi della tribù dei Lakota, ho svolto la capanna dei Nez Perce, il Temascal degli Aztechi e Maya e altre capanne condotte con modalità e tradizioni diverse. La mia Capanna Sudatoria denominata dell’Arcobaleno si svolge in modo simile all’Inipi, la Capanna Sudatoria dei Lakota. La capanna è costruita con 16 rami di salice intrecciati tra loro a formare una cupola. Tale cupola rappresenta l’utero di Madre Terra. La capanna è interamente ricoperta da teli ed ha la porta rivolta a Ovest, la direzione degli Esseri di Tuono, Wakinyan in lingua Lakota. Tale apertura permette ai poteri dell’Ovest di entrare nella capanna per portare il loro benefico influsso ai partecipanti al rito. I poteri dei Wakinyan e della Sacra Direzione dell’Ovest nella Ruota di Medicina sono strettamente relazionati con me. All’interno della capanna vi è una buca dove vengono poste le pietre roventi che a loro volta vengono bagnate da me per provocare il vapore. A circa 7 metri dalla capanna vi è la buca del fuoco dove vengono surriscaldate le pietre. La terra della buca scavata dentro la capanna viene posta a formare un tumolo o altare tra la capanna e la buca del fuoco. La capanna simboleggia la Terra, l’altare la Luna e la buca del fuoco il Sole. Ogni cosa che appartiene al rito della Capanna Sudatoria ha un profondo significato. Le persone che partecipano a questa cerimonia entrano a gattoni, come i bambini, a rappresentare l’umiltà verso il Grande Spirito e il rispetto verso questo rito. Vengono poi portate all’interno della capanna le pietre roventi e viene chiusa la porta in modo da oscurare totalmente l’ambiente; si è ritornati nell’utero di Madre Terra per purificarsi e rinascere nuovamente. All’interno della capanna si canta, si prega, si condivide. Io inizio a versare l’acqua sulle pietre che incominciano a cantare, cioè a rilasciare il vapore. La temperatura sale e inizia la purificazione del sé; corpo, emozioni, mente e spirito. Il resto non si può raccontare perché l’unico modo per conoscere la Capanna Sudatoria è farla.
Le donne che sono nel loro ciclo non possono entrare nella Capanna Sudatoria, ma possono comunque partecipare alla cerimonia stando in uno spazio a loro dedicato.

Postato  da Riccardo Fioravanti

martedì 11 giugno 2013

Su Maskinganna





Su Maskinganna è uno degli esseri fantastici della tradizione sarda che può essere incluso nella categoria dei folletti burloni. Chiamato anche S'Ingannadore, viene associato talvolta alla figura del Diavolo.

In Sardegna agisce prevalentemente nel mondo agro-pastorale, rendendosi protagonista di innumerevoli storie, prendendo di mira generalmente  contadini e pastori.

Ha la capacità di assumere qualsiasi sembianza, speso quelle di un bambino o di un animale, ma può manifestarsi anche solo con la voce.
In diversi racconti si presenta come un fanciullo con degli zoccoli al posto dei piedi, come gli Augurielli, folletti diffusi in gran parte dell'Italia meridionale, o il bruttissimo Barabao veneto.

Si diverte a combinare scherzi di ogni tipo alla malcapitata vittima o agli animali che questa custodisce.
Il Berlic valdostano di notte si introduce sotto forma di un'ombra nelle stalle, creando scompiglio tra mucche, cavalli e capre, mentre il Beilhund del Trentino ha l'aspetto di un manico d'ascia e la testa a forma di scure. Si diverte a sostituirsi all'accetta del contadino, scomparendo ridendo e fiammeggiando quando qualcuno tenta di afferrarlo per tagliare la legna. Il Linchetto toscano invece si nasconde nei tini al tempo della vendemmia, si diverte ad intrecciare la coda ai cavalli o a bussare alla porta durante la notte.


Su Maskinganna compie anche azioni positive, talvolta dando avvertimenti utili agli esseri umani. Si narra che un pastore avesse sconfinato col suo gregge di pecore in un altro terreno non suo. Sedutosi all'ombra di una pianta di fico udì da prima un brusio, e pian piano una voce ben distinta che lo avvisava di badare al gregge e di spostarlo perchè stava arrivando il padrone del terreno.
Il pastore si alzò di scatto cercando la persona che aveva parlato, e non vedendo nessuno, spaventato si affrettò comunque a radunare il gregge e riportarlo sul suo appezzamento di terra. Sapeva di aver appena avuto a  che fare con Maskinganna ma, memore dei raccontisentiti dal nonno, ne seguì comunque il consiglio.
Infatti, sulla via del rientro, incrociò proprio il padrone del pascolo in cui aveva sconfinato il gregge.


domenica 9 giugno 2013

Le antiche ceramiche della Sardegna

da HTTP://PIERLUIGIMONTALBANO.BLOGSPOT.COM

I manufatti in argilla dalla preistoria ai nuragici
di Pierluigi Montalbano


La Sardegna protostorica è caratterizzata da un’età aurea in cui caccia, pesca e agricoltura contribuivano al raggiungimento del benessere di quel pacifico popolo di laboriosi artigiani che producevano ceramiche riccamente decorate. Erano plasmate sapientemente e commerciate in ogni angolo dell’isola. Le tracce di quelle antiche culture si trovano anche in Francia, Spagna, nord-Africa e coste tirreniche.
In quell’epoca i sardi non avevano bisogno di torri e mura, vivevano in villaggi corredati di luoghi per il culto e zone funerarie. Il Neolitico sardo dal 6.000 al 3.000 a.C. fu un’epoca di fioritura artistica e le ceramiche che ho riassunto nell’immagine sono lo specchio della cronologia sarda fino all’avvento della civiltà mediterranea (l’età cosiddetta fenicia) che creò un nuovo gusto e quello stile inconfondibile che dal X a.C. si diffuse rapidamente lungo tutte le coste.
Il fermento culturale di questo lunghissimo periodo aiuta la comprensione dello stile di vita dei sardi e la povertà delle ceramiche nuragiche si scontra con le maestose architetture che svettano sul panorama isolano. La ricchezza, l'abbondanza e la bellezza artistica dei manufatti contrasta fortemente con la linearità e l'assenza di icone del periodo nuragico. In particolare, si assiste alla creazione di armi formidabili come le spade di Sant’Iroxi mentre spariscono le belle ceramiche del campaniforme. Perché le spettacolari domus de janas, le sepolture singole (o di clan familiari) che hanno caratterizzato per 1500 anni l’aspetto delle zone funerarie sarde, sono sostituite dalle tombe dei Giganti? E' verosimile che dietro la forma di torri e tombe si celi una nuova simbologia?
I sardi già nel VI Millennio a.C. erano capaci di creare vasi con decorazioni della Dea Madre nelle anse (figura in alto a sinistra), già nel 3.000 a.C. realizzavano coppe con decorazioni antropomorfe, nel 2.000 a.C. parteciparono alla koinè del campaniforme, un gusto internazionale che si manifestò in mezzo Mediterraneo fino alle Alpi, ma durante la civiltà nuragica, ossia a partire dalla fine del XVIII a.C., perdono questo gusto creativo e si dedicano agli edifici immensi costruiti in pietra locale. Solo intorno al XI a.C. le ceramiche sarde riprendono un gusto decorativo che le porta a rivaleggiare in bellezza con quelle micenee. La differenza sostanziale fra queste e quelle è facilmente individuabile in tutti i musei: le sarde sono incise, le micenee (o comunque levantine) sono dipinte. Proprio in questo periodo la civiltà nuragica pone le basi per una rivoluzione sociale che porterà, a partire dal X a.C., a non costruire più le alte torri, e a trasformare le più imponenti in luoghi di culto. Inizia in quel periodo anche la realizzazione delle prime grandi forme scultoree in arenaria (Monte Prama), e piccole in bronzo (guerrieri, divinità e sacerdoti), forte rappresentazione di quella società divenuta aristocratica. Volge al termine il lungo periodo aniconico e, oltre ai piccoli nuraghe simbolici (circa 1 metro di altezza) posti all'interno delle grandi capanne delle riunioni, si realizzano caratteristiche figure antropomorfe in arte geometrica, altre a barchette e animali realizzati con una tecnica difficile e sopraffina: la fusione a cera persa.
La religiosità vede nei riti dell'acqua (vasche) e del fuoco (altari e sacrifici) la massima espressione del culto verso la divinità principale: il Dio rappresentato attraverso le costruzioni ciclopiche. Le due cesure culturali sono individuabili nella facies Sant'Iroxi e nel passaggio dal Bronzo al Ferro. 700 anni di storia che possiamo definire l'età d'oro dei nuraghe.
Esaminiamo cosa accade nei manufatti di questa prima cesura.

Nella facies Sant’Iroxi abbiamo per la prima volta la comparsa di grandi spade (tipo El Argar) al posto dei pugnali. La base di queste pregevoli armi è arrotondata, come quella dei più antichi pugnali, ma la lunghezza arriva fino a 80 cm. Nei protonuraghe non ci sono reperti della fase Sant’Iroxi, quindi, poiché si assiste ad un cambio epocale, in questo periodo a mio parere potremmo far iniziare il periodo sardo nuragico. A Decimoputzu si sono trovati 180 individui sepolti, ma inizialmente erano circa 250 perché una parte manca completamente.
Le facies Sa Turricula, Monti Mannu e San Cosimo, sono precedute da quella Sant’Iroxi, che propone delle novità ceramiche fondamentali rispetto al passato: assenza del vaso tripode, sostituito da un vaso con 4-5 piedi alla base, e comparsa di bollilatte, con una sorta di risega interna che consente di poggiare il coperchio fra collo e spalla del vaso. Altri elementi importanti di questa facies sono piccoli vasi a colletto riverso a 4 anse (o 2 anse e 2 bugne) che accompagneranno la produzione ceramica fino al Bronzo Finale. Altri elementi proseguono dal Bonnannaro: anse a gomito che col tempo tenderanno a cessare (e con San Cosimo sono in versione differente perché non presentano più la forma classica con l’ansa a gomito).
Non bisogna confondere l’ansa a gomito classica con quella a gomito rovescio che compare nel Bronzo Finale e perdura fino all’orientalizzante del Ferro (con ceramiche tornite e dipinte, tipiche nuragiche).
La fase Sant’Iroxi è studiata a partire dagli scavi del 1990 benché fossero già noti materiali di quella fase (Maria Luisa Ferrarese Ceruti), inseriti erroneamente nel grande calderone del Bronzo Antico (Bonnannaro A-Corona Moltana).
I contenitori sono piccoli (ollette a 4 anse con orlo riverso), e possiamo giustificarli dal fatto che i ritrovamenti sono esclusivamente in contesti sacri: funerari o grotte (Su Moiu di Narcao e Su Benatzu di Santadi) e rientrano quindi nel regime delle offerte di cibi ai defunti: acqua, incenso, miele, latte…
A partire dal Bronzo Medio (e fino al Bronzo Finale), ad esempio a Su Benatzu (nota come grotta Pirosu), si moltiplicano i ritrovamenti di materiali per uso cultuale delle grotte.


In questi vasetti compaiono sia l’ansa ad anello che l’ansa a gomito ma non ancora l’ansa a gomito asciforme (quella che risale verso l’alto tipica di Sa Turricula). Questo fatto è strano, perché questa tipologia di ansa compare già nel Campaniforme B (Sulcitano, con decorazioni anche a fasce verticali). Potrebbe essere un’anomalia delle ricerche o dovuta all’ambito funerario, che è quello di Sant’Iroxi (infatti non conosciamo villaggi di questa facies). 
I protonuraghe più antichi (quelli a corridoi passanti) non sono ancora scavati e quindi non abbiamo dati per verificare. Il discorso è comprensibile se si pensa, ad esempio, al Talei di Sorgono che è un protonuraghe più recente (con camera a piano terra) nel quale sono state trovate ceramiche Sa Turricula. Se ne deduce che i protonuraghe più antichi dovrebbero presentare materiali più antichi, ma gli scavi ancora non ci danno questa certezza. D’altro canto i materiali sono stati ritrovati nel villaggio, quindi non sappiamo se erano presenti anche all’interno del Talei.
In questo nuraghe abbiamo anche vasetti, tazzine e bicchieri tronco-conici ansati (ma anche privi di anse) che continuano per tutto il Bronzo Medio, fino alla facies San Cosimo. I vasi più grandi (olle a collo largo con labbro appiattito) sono di forma arcaica e li troviamo anche nella fase Bonnannaro A.
Con la ceramica Sa Turricula iniziano i contesti sia tombali che insediativi. Continuano i vasetti troncoconici con prese quadrangolari trasversali (a volte bugne) o cilindriche. Compare la decorazione plastica (nervature) con cordoni che partono dall’orlo, e spesso all’interno del collo ci sono le riseghe (si tratta di bollitori). I vasi sono polipedi (i tripodi non ci sono più), hanno il coperchio e presentano delle coppelle, scavate o in rilievo. Abbiamo anche piatti con orlo appiattito, simili a quelli Monte Claro e a volte inseriti erroneamente (come è avvenuto nel Nuraghe Bruncu Maduli di Gesturi) in questa fase proprio perché non si conosceva ancora la facies Sant’Iroxi.
È possibile fare dei confronti precisi di queste tipologie ceramiche di olle biconiche e globulari a tesa interna (pissidi), bollitori e tegami con i materiali delle facies Proto-Appenninica e Appenninica, a dimostrazione delle relazioni ad ampio respiro presenti in questo periodo.
Le anse si trasformano leggermente nella facies successiva, quella denominata San Cosimo, pertanto è abbastanza semplice classificare i materiali di queste tre facies.


da HTTP://PIERLUIGIMONTALBANO.BLOGSPOT.COM

L'immagine in alto è realizzata con ceramiche fotografate in vari musei sardi. E' stata creata a scopo dimostrativo.

Il collage di ceramiche nuragiche a mezza pagina è realizzato con immagini tratte da La Civiltà Nuragica, Lilliu, 1999

domenica 2 giugno 2013

UNA SOLA DEA MEDITERRANEA - Occhio sul Mediterraneo

UNA SOLA DEA MEDITERRANEA, TRE NOMI
Tanit, Neith, Athena
da http://www.liutprand.it/

di Leila Guiga

La celebre dea Tanit non era di origini puniche. Si trattava di un’antica dea berbera, adottata dai fenici quando fondarono Cartagine. Alcuni ricercatori dicono che essi agirono così per ingraziarsi le popolazioni locali del Nord Africa e per farsi aiutare nella loro guerra contro i greci. 
Tanit, divinità libica, appare nel pantheon punico solo a partire dal sec. IV a.C. Prima d’allora, la dea protettrice della città di Cartagine era l’orientale Ashtart (Astante). 
Mentre la maggior parte delle divinità di Cartagine corrispondono con quelle originarie della Fenicia, di Tanit non si trova quasi nessuna traccia in Oriente, mentre è diffusissima a Cartagine e nei territori circostanti, ancor prima che a Cartagine. Ella era conosciuta con diversi nomi similari: Tanit/Taniyt/Tanjit/Tangit.



La città marocchina di Tangeri deriva il proprio nome originario, Tingis/Tanga, da quello di questa dea berbera. Tanga era la sposa di Anzar, dio della pioggia e dell'acqua (v. anche il racconto “La fidanzata di Anzar”, alla sezione "Racconti"), ed era la madre dell'Eracle berbero (Anteo), che sostenne un celebre combattimento con l’Eracle greco, conclusosi con la vittoria di quest’ultimo. 
Eracle era meno forte, ma conosceva il segreto della forza del suo avversario berbero, che non poteva essere sconfitto sino a che i suoi piedi toccavano la terra di Tangeri, la sua terra-madre. Eracle ricorse all’astuzia e spinse il suo avversario in mare, in modo da renderlo del tutto impotente. 
Tinja à anche il nome di un’altra regione del Nord Africa, al Nord della Tunisia
Tinja e Tangeri sono due città poste in riva al mare, il che rafforza l’idea d’un legame della dea con l’acqua (ricordiamo le funzioni di suo marito Anzar). 
Non dimentichiamo un’altra tradizione nord-africana legata all’acqua, quella di Madre Tango. Si tratta di un’entità alla quale gli abitanti chiedono che faccia cadere la pioggia, in occasione d’una lunga siccità. L’usanza è ancora viva, in alcune località. Si organizza una festa e i bambini fabbricano un gran pupazzo di paglia, lo vestono ed escono con esso per le strade, in una processione rituale diretta al mare, gridando: 
“Madre Tango ha implorato Dio per far cadere la pioggia. 
Donne, appoggiate la sua richiesta, e che Dio l’ascolti!” 
Quel “Dio” non potrebbe essere Anzar, suo marito, divinità della pioggia e dell’acqua? Certo, perché – dopo la processione – i bambini portano il pupazzo di Tango in mare e chiedono al Dio di curarsi di lei e di ascoltare le sue preghiere. 

La dea egiziana Neith sembra proprio la stessa divinità, ed era oggetto nella regione del Delta nilotico d’un culto di origini molto antiche. 
Innanzitutto il nome: Neith o Nit è molto simile a Tanit, se si toglie una T, che è un modo della lingua berbera per designare il genere femminile. berbère. Inoltre Ta-Nit, in egiziano, significa proprio "la terra di Neith". 
E la città dedicata a Neith in Egitto si chiamava semplicemente Tanit (Tanis, nella versione grecizzata). Si noti che tale città fu fondata dai berberi nella parte occidentale del Delta e che gli Egizi la chiamavano "amenti": "della terra dell’Ovest” (terra dei berberi). 
Neith è spesso indicata come Tjehenut (berbera), e lo stesso Osiride abita nell’"amenti" (l'Occidente berbero), che rappresentava per gli Egizi la terra degli antenati e dell’Aldilà. Il nome "amenti" derivava da quello di Amon (ancora un dio libico-berbero, adorato in Egitto). 
Inoltre, il nome della città, Tanis, ricorda quello del lago Tri-tonis in Libia, che si può anche interpretare come delle "tre Tonis" ossia il lago delle tre dee della Trinità femminile primordiale. Erodono parla di quel mitico lago come d’un lago sacro, luogo di nascita di tre dee mitologiche. 
Tonis, o Tanis, può anche essere all’origine del nome di Tunisi, capitale della Tunisia. La città sorge presso un gran lago, che ha sempre avuto anch’esso un carattere sacrale. 

Infine Athena, uno strano personaggio, per i suo attributi mutevoli e per la sua origine che si perde, tra il mito e la storia. 

Già Erodoto sostiene che gli Egizi adoravano Athena sotto il nome di Neith, e nel parlare delle tre dee, il cui culto era collegato al lago Tritonis, cita proprio i tre nomi: Medusa, Pallas e Athena, che sarebbero state figlie del fiume Tritone (emissario del lago Tritonis). 

La sua "Egida", corazza o scudo di pelle di capra che à il suo attributo principale e che le conferiva poteri superiori, era una protezione per la battaglia usata dalle guerriere berbere, le Amazzoni, perché la pelle assorbiva meglio i colpi. Il nome egida deriva da quello dell’animale, e ancor oggi i berberi (kabyli, cleuh, chaoui) usano il termine "ighid" per designare il capretto. 
Il nome stesso delle Amazzoni, entrato nella mitologia greca, significa semplicemente “berbere” o “libiche”, come plurale di Amazigh (il nome con cui i Berberi chiamano se stessi): Imazighen/Imaziyen, diventato "Amazzoni" nella sua traduzione in greco. 
Si raccontava che, intorno al lago Tritone, un rituale di combattimento divino opponesse le due dee sorelle Pallas e Athena. Quest’ultima vinse, e ciò comportava il disonore Pallas e la perdita del suo rango di Vergine Divina. Athena, per amore della sorella, ne volle eternare il nome, unendolo al proprio. Athena aveva anche l’attributo di “tritogenia”, come un patronimico, che indicava senza dubbio il nome del padre Tritone (un dio marino, poi ribattezzato Poseidone: il nome del suo Tridente ricorda ancora il nome del dio originario: Tritone!) Un altro attributo di Athena era: Athena Diwya. Forse in riferimento alla sua saggezza. "Dihya" in lingua berbera è il nome che si dà alle donne di Grande Saggezza, specialmente alle sacerdotesse dei culti pagani, che ricoprivano un rango considerevole nel paese, prima dell’arrivo dell’Islam. 
Citiamo ad esempio la famosa Kahena – Dihya, feroce combattente contro l’occupazione degli arabi e capo disperato della resistenza. Ella finì per bruciare i campi, piuttosto di consegnarne il raccolto agli invasori, e si suicidò gettandosi nel fuoco, poiché il suo piano stava fallendo. Suo figlio l’avrebbe ferocemente vendicata! 






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Matriarcato & Matriarchy: LA DEA TANIT