mercoledì 24 aprile 2013

IL SAPERE DELLE PIANTE

Michelangelo Pira
S'ISCHIRE 'E SA PIANTA

IL SAPERE DELLE PIANTE

da SOS SINNOS

Ma é un sapere quello della pianta? É e non é un sapere. Io e noi tutti nel tempo di cui parlo eravamo cosí, a guisa di piante, per il sapere e il non sapere. Peró a differenza delle piante,avevamo piedi e non radici e potevamo spostarci da una zona all'altra. Cosa che le piante non possono fare anche se esistono giorni in cui sembra abbiano voglia di mettersi in moto,quando le scuote il vento. Ed avevamo mani per toccare e distinguere il ruvido dal liscio, il caldo dal freddo, l'umido dal secco, il molle dal duro e cosí via accoppiando gli opposti. É vero che talvolta i rami di un albero sembrano braccia e che un albero ha piú rami che un uomo braccia ed é vero che esistono piante che, se le tocchi, sembrano impaurirsi, difendersi, nascondersi. Ci sono piante che aprono i loro fiori al sole e ci sono piante che al sole li chiudono, ci sono piante che sotto la pioggia ridono e altre che sembrano piangere. Ció che voglio dire é questo: anche le piante sentono a loro modo e distinguono e rispondono ai mutamenti del tempo : distinguono la luce dal buio, l'acqua dal sole, il vento dalla quiete.


Ma gli animali hanno piu' possibilitá di distinguere e di conoscere e di muoversi e di rispondere. Un animale assetato, quando non piove, si sposta fino a che non trova una fontana o un fiume o una piscina per liberarsi dalla sete. E se é affamato si muove e cerca fino a quando non si libera dalla fame. É vero che un albero si cerca l'acqua sotto terra, con le radici, e poi ne fa economia stringendo le foglie nelle ore di sole piú forte e che per alimentarsi non ha bisogno di muoversi perché l'albero si nutre di terra.

Nei tempi di cui parlo non capivamo tutte queste cose. E talvolta invidiavamo le piante, per come vivevano contente dell'acqua, della terra e del sole, forti tanto da resistere all'acqua e al vento e da riuscire ad avere una vita piú lunga di quella di tutti gli animali. Ricordo alberi del bosco che ho conosciuto sempre uguali a se stessi in decine e decine di vite mie e che erano superiori a tutto l'andare e venire e correre e morire degli animali. Poi ricordo come i fiori che morivano subito tornavano in vita in primavera, uguali. Noi somigliavamo piú a questi fiori che agli alberi. Morivamo e rinascevamo. Ma gli alberi grandi sembravano non morire mai. Quelli che erano intorno alle caverne li conoscevamo uno per uno. Io parlavo con loro, li toccavo cercando di capire il segreto del loro durare, della forza del tronco di ciascuno. E quante volte ho desiderato di scambiare il mio destino con quello della quarcia piú grande che conoscevamo. Aveva il tronco lanoso e le sue punte arrivavano al cielo, la radura era piena di ghiande quando era la stagione dei cinghiali e noi potevamo mangiarne a nostro piacimento. Tanto era grande, la quercia, che sembrava aver generato ogni cosa che si muoveva sulla terra. Si vedeva che era vecchia e saggia piú di ogni altra creatura. Io ho imparato molte cose da questa quercia e da altre piante: la pazienza, prima di tutto, ad accontentarmi di poco, a parlare poco, ma la cosa piú grande che ho imparato é l'importanza della vita, del durare e del rimanere immobili.


dal libro 

Ammajos, IL FASCINO DELLA NATURA
soter editrice





da http://www.canoniani.it/forum_forum.asp?forum=4&section=70&post=539003

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