video da http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=JPxQ-zq_3yQ#!
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| http://www.myspace.com/accabbadora/photos/20442346 |
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| http://pierluigimontalbano.blogspot.it/ |
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| http://www.gentedisardegna.it/topic.asp?TOPIC_ID=9928 |
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| http://ciresell.blog.tiscali.it/2011/10/26/s-accabbadora-la-sacerdotessa-di-morte/ |
I risultati della missione, che è parte integrante della campagna di ricerca e monitoraggio "Sardegna Nord Cetacei", sono stati illustrati alla stampa questa mattina alla presenza del Rettore Attilio Mastino, del Direttore del Dipartimento di Medicina Veterinaria Salvatore Naitana e di tutti i membri dell’equipaggio di "Nonna Clò", composto da veterinari, biologi e naturalisti dell'Ateneo turritano. In un percorso che ha alternato rotte costiere a transetti pelagici per un totale di 486 miglia (400 di monitoraggio e 85 di navigazione), i ricercatori, affiancati dal team di comunicazione, hanno registrato ben 26 avvistamenti per un totale di 216 esemplari: 59 tursiopi, 105 stenelle, 1 balenottera, 1 zifio e ben 50 Delphinus delphis. In particolare l'avvistamento di unico e cospicuo gruppo di esemplari di questa specie molto rara, tanto da essere ritenuta estinta nel Tirreno fino al precedente avvistamento nel 2011, ha suscitato molto entusiasmo nell'equipaggio. Durante le 140 ore di monitoraggio sono stati raccolti, inoltre, dati sulla presenza del traffico nautico, con particolare attenzione alle imbarcazioni da pesca, e sulla fauna marina associata, con numerosi avvistamenti di uccelli marini, tra i quali principalmente berte minori, berte maggiori e gabbiano corso. Significativo è stato inoltre l’avvistamento di 4 esemplari di Caretta caretta, 3 dei quali in evidente difficoltà natatoria. L’avvicinamento di uno degli esemplari ha inoltre consentito il campionamento ai fini degli esami parassitologici che verranno realizzati nei prossimi giorni presso i laboratori del Dipartimento di Medicina Veterinaria. Tutto il progetto è stato documentato con riprese video e con un aggiornamento costante di un diario di bordo pubblicato in tempo reale sul blog http://sardegnanordcetacei.blogspot.it/ (8.000 contatti in 50 giorni) che continuerà a vivere anche nei prossimi mesi con la pubblicazione di immagini, grafici e dati su quanto è stato possibile rilevare e su quanto verrà da oggi rielaborato. 
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La cultura di Ozieri presenta vasi ricavati da pietre locali (steatite, calcite, clorite), abilmente lavorate, chiari indizi dell'influenza del Mediterraneo orientale. La religiosità della cultura di Ozieri si manifesta soprattutto nelle 3000 tombe rupestri (domus de janas), scavate nella roccia con primitivi picchi da scavo in pietra. Analoghe tombe rupestri a camera sono note per tutto il III millennio a.C. in tutta l'area mediterranea. Presso Arzachena, nel santuario funerario Li Muri, le ciste litiche sono circondate da diversi anelli concentrici composti da lastre più piccole disposte verticalmente. Al margine degli antichi tumuli vediamo altre ciste litiche più piccole per le offerte funebri e numerosi pilastri di pietra (betili), talvolta entro una piccola ghirlanda di sassi. Fra i doni funebri abbiamo asce di pietra levigata, teste di mazza, coltelli di selce e collane. In ognuna delle ciste litiche si trovò di regola un solo defunto, posto in posizione rannicchiata: è possibile dedurne l'esistenza di una struttura sociale aristocratica presso le stirpi dei pastori. L'elemento caratteristico, la cista litica nel tumulo, era diffuso dalla Palestina fino all'area egea e ai Pirenei. Molte di queste perdas fittas, come vengono chiamati in Sardegna i menhir, possono essere attribuite alla cultura di Ozieri. Verso la metà degli anni Settanta sono state ritrovate presso Goni le più spettacolari serie di menhir sarde, pur se la ricostruzione dell’allineamento, coraggiosamente eseguita il secolo scorso, non consente di apprezzarne il significato originario.
L'abbondanza dei prodotti e la mitezza del clima accompagnavano la descrizione dell'antica Sardegna da parte degli scrittori classici. Le fonti letterarie relative alla divinità protosarda Aristeo, raccontano che al tempo dei nuraghi la Sardegna era ricca di olio, latte e miele, ma anche di alberi da frutta delle campagne, del bosco e della macchia. La scoperta dei primi metalli, rame e stagno, indusse l'uomo ad accantonare progressivamente l'uso delle pietre dure. Nel periodo di passaggio dal Neolitico al Bronzo, le armi e gli utensili di rame svolsero un ruolo subordinato in confronto a quelli in pietra, perciò quest'epoca è chiamata Età del Rame. Gli inizi della metallurgia in Sardegna risalgono al periodo della cultura di Ozieri, ma la tecnologia si sviluppò soprattutto nel periodo delle culture di Abealzu, Filigosa e Monte Claro, dove le tracce della lavorazione del rame diventano sempre più frequenti. Si producono anche pugnali che sono colati in forme e induriti a colpi di martello. La prova più antica di una lavorazione locale di minerali di piombo ci è fornita da una ciotola in stile Monte Claro rinvenuta presso Iglesias, aggiustata con graffe di piombo proveniente dai giacimenti di galena situati nei dintorni di Iglesias. ![]() |
| Nelle immagini una serie di ceramiche Monte Claro esposte al Museo Archeologico di Cagliari |
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| Tombe di Tuvixeddu |
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| morro di Mezquitilla |
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| Tempio di Antas |
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| Tophet Cartagine |
Fra gli indizi più rilevanti a disposizione degli archeologi troviamo le tracce lasciate nei siti funerari. A differenza dei villaggi, questi luoghi offrono spesso manufatti ancora sigillati nei sepolcri, e consentono un’analisi precisa del contesto. Architettura, resti ossei, cenere, ceramiche, gioielli, armi, decorazioni tombali e altri segni del passato sono utili a ricomporre il mosaico di indizi che consente l’interpretazione del modo di vivere dei sepolti, in gergo denominato facies o cultura. In Sardegna, i più celebri luoghi di sepoltura scelti dalle comunità neolitiche sono denominati Domus de Janas. Si tratta di templi realizzati in luoghi sacri e dedicati al culto dei morti. Le strutture sepolcrali sono scavate nella roccia e, oltre a quelle sarde, si trovano lungo tutto il bacino del Mediterraneo. In Sardegna se ne contano quasi 3.000, e molte rimangono ancora da scavare. Sono frequentemente collegate tra loro a formare delle necropoli sotterranee, con in comune un corridoio d'accesso e una spaziosa anticamera. Gli archeologi riferiscono che furono scavate e decorate durante la Cultura di Ozieri (Neolitico finale), ma gli scavi effettuati nella necropoli di Cucurru is Arrius a Cabras hanno permesso di retrodatarle fino alla Cultura di Bonu Ighinu (Neolitico Medio). Le genti della Cultura di Ozieri si diffusero sull’isola Sardegna cambiando il modo di vivere delle precedenti popolazioni neolitiche. Erano comunità laboriose e pacifiche, dedite all'agricoltura, alla pesca, alla pastorizia e la loro religione si riferiva a divinità comuni alle altre civiltà agricole: Sole,Toro e Fuoco, simboli della forza maschile; Acqua, Luna e Madre Mediterranea, simboli della fertilità femminile. Statuine stilizzate della Dea Madre sono state spesso ritrovate in queste sepolture e nei luoghi di culto.
Le Domus De Janas sono uniche nel panorama mediterraneo per l'accurata lavorazione, per i caratteristici aspetti architettonici e per le decorazioni che richiamano le case dei vivi, suggerendo come fossero costruite le case di 5000 anni fa. Abbiamo grotticelle a forma di capanna rotonda con il tetto a cono, o spazi rettangolari a tetto spiovente, provvisti di porte e finestre. Non sono rare le colonne e le finte porte per raggiungere l’aldilà. Nelle tombe più maestose si notano le travi del soffitto ricavate lavorando la roccia a rilievo. Le pareti e i pavimenti erano colorati in rosso e blu, e decorati con figure rigorosamente legate alle divinità astrali (sole e luna) e agli elementi vitali (acqua e fuoco). Questi templi erano arricchiti con simboli religiosi (bracieri, protomi taurine, spirali, cerchi concentrici, rombi). I corpi venivano deposti in posizione fetale, spesso ricoperti con ocra rossa, il colore del sangue e della vita. Altre volte sopra il morto si realizzava un bianco cumulo di valve di molluschi. Accanto alle spoglie erano deposti amuleti, vivande, punte di freccia, armi e altri oggetti di uso comune, a formare un corredo del defunto. Nel tempo i corredi funebri erano rimossi per far spazio a nuove deposizioni. Le Domus de Janas più antiche precedono di qualche secolo un altro tempio funerario caratteristico dei secoli a cavallo fra Neolitico ed Età del Rame: il Dolmen, una tomba megalitica a camera singola le cui prime realizzazioni sono da localizzare in Gran Bretagna. I dolmen erano delle sepolture collettive riutilizzabili. Questo spiega perché, in certi dolmen, si siano trovati resti umani di centinaia di individui e di corredi funerari appartenenti a differenti periodi. Considerata l'esiguità dei resti umani rinvenuta in alcuni dolmen giganteschi, evidenti monumenti di prestigio, ci si può chiedere se non fossero in realtà strutture sacre (templi) presso le quali i capi e i sacerdoti chiedevano di essere tumulati. Quanto al tumulo, aveva la funzione di proteggere la camera funeraria e quella di ostentare la sua maestosità: un grande tumulo rivestito, imponeva la sua massa al visitatore e conferiva sicuro prestigio alla comunità che lo aveva eretto. In Sardegna è presente il Dolmen più grande del mondo, Sa Coveccada, nel territorio di Mores. E’ alto quasi 3 metri, e lungo oltre 5. Il monumento, a pianta rettangolare, è realizzato con tre grandi lastre squadrate in trachite locale, infisse nel terreno, a sostegno di una lastra di copertura del peso di quasi 20 tonnellate. E’ andata perduta la parete posteriore. Nel prospetto principale si apre un piccolo accesso che introduce all’unica camera nella quale, scavata all’interno del lastrone verticale a sinistra dell’ingresso, si trova una nicchia funzionale, verosimilmente, alla deposizione del corredo funerario e delle offerte. I Dolmen costituiscono un “passaggio” fra le Domus De Janas, ricavate scavando nella roccia, e le tombe artificiali realizzate sovrapponendo pietre mediante l’uso di due tecniche differenti: ciclopica o megalitica. Il modulo dolmenico, ossia due pietre verticali che sostengono una lastra piatta che costituisce la copertura, può essere replicato per ottenere lunghi corridoi denominati “gallerie dolmeniche”.
L’evoluzione di queste strutture porterà nel corso di qualche secolo alla realizzazione delle Tombe di Giganti, i templi ideati dai nuragici e dedicati al culto dei defunti. Questi 350 edifici mostrano differenti sistemi di costruzione, ma rappresentano con rigore ossessivo una duplice simbologia: protome taurina e utero. Forse i sardi dedicarono ai defunti i templi che racchiudevano simbolicamente il ciclo vitale: il defunto era deposto nel luogo che l’aveva generato. Inoltre la potenza del toro costituiva una forza vitale che avrebbe accompagnato i morti nel viaggio verso l’aldilà. A volte il prospetto delle Tombe di Giganti offre elementi di difficile interpretazione: una grande stele, talvolta divisa in registri, che presenta un piccolo portello in basso: una porta che divide il mondo dei vivi dal mondo dei morti. Una stele simile, in rari casi, si può trovare scolpita nella roccia anche negli ingressi delle domus de janas. L’area posta davanti alla facciata di questi templi generalmente è racchiusa fra due ali in pietra a formare un semicerchio, ed è denominata esedra. A volte in quest’area si trovano menhir, banconi-sedili in pietra e altri elementi legati alla religiosità. Questi particolari sepolcri consistono in una camera lunga dai 20 ai 30 metri e alta da 2 a 3 metri. In origine la struttura, similmente ai dolmen, era ricoperta da un tumulo e il soffitto interno era piatto o somigliante a una barca rovesciata. Il primo tipo di Tomba di Giganti deriva dai dolmen, con esedra realizzata con massi conficcati a coltello. Successiva a questa tipologia è il tipo a filari, con esedra senza stele e ali realizzate con una muratura a filari orizzontali; in questo caso i massi sono lievemente squadrati. La successiva evoluzione consiste nell’applicazione dell’isodomia, ossia con conci perfettamente squadrati, presenti anche nei coevi nuraghi e pozzi sacri. A questa tipologia appartengono due sottotipi: il tempio con portello centrale architravato e quello con portello ricavato in una lastra trapezoidale. Le Tombe di Giganti concludono il loro ciclo vitale intorno al X a.C. quando un nuovo sistema sociale, influenzato dai contatti sempre più frequenti con l’esterno dell’isola, porta i sardi a dedicarsi ad altre architetture. I nuraghi non sono più ristrutturati e con le parti sommitali crollate si edificano capanne in prossimità delle torri. Alcuni fra i più maestosi sono trasformati in luoghi di culto, e le sepolture sono totalmente differenti: non più comunitarie in monumenti importanti ma più meste, in pozzetti singoli ricoperti con lastre che li sigillano. E’ il caso di Antas e di Monte Prama. Dedicherò a queste nuove tipologie tombali la dispensa di domani.
La nascita dell’agricoltura e le prime religioni![]() |
| Nelle immagini: Catal Hoyouk e Gerico. |
Nei miti greci ed egizi troviamo la descrizione degli antichi padri che al termine dell’ultima glaciazione crearono la più evoluta civiltà del passato. I personaggi descritti sbarcarono da un luogo lontano, indistinto, collocato nel mare, in grandi isole poste oltre i confini del mondo conosciuto. Gli antichi papiri egizi li ricordano come Haou-Nebout, mentre per i greci si tratta dei leggendari Pelasgi, il popolo generato dalla terra allo scopo di creare la razza umana. Più tardi, nelle età dei metalli, queste genti assumono una fisionomia più concreta e lasciano tracce evidenti costruendo città con spettacolari palazzi. Per 1000 anni solcano il Mare Mediterraneo con le loro navi commerciali, sono conosciuti con il termine “Minoici”. L’esplosione del vulcano Santorini, avvenuta nel XVII a.C., causa la loro decadenza, e nuovi popoli si affacciano nel Mediterraneo e ripercorrono le stesse rotte commerciali: i “Micenei”. Nel 1274 a.C. a Qadesh e nel 1175 a.C. nel Delta del Nilo, si consumano le ultime speranze dei faraoni Ramessidi di mantenere il dominio armato nel Vicino Oriente. Nuove genti, abili nella navigazione e nel combattimento corpo a corpo, distruggono le città degli Ittiti, dei Mitanni e dei Cananei, e si insediano nelle province egizie determinando il crollo dei grandi imperi. Sono ricordati con un nome che, ancora oggi, rimane misterioso e suscita rispetto: “Coalizione dei Popoli del mare”. Questi guerrieri s’insediarono nel Vicino Oriente e fondarono città, riscuotendo tributi dal popolo e ripristinando le antiche rotte commerciali. Frequentarono le coste fondando approdi e globalizzando il mondo mediterraneo. Migliorarono le tecnologie dei locali, rifornirono di metalli i sovrani e dominarono per 400 anni il panorama politico. I testi li chiamano filistei, sardi, cretesi, ciprioti, tiri, gibliti, sidoni, siculi, tirreni. Nel libro “Antichi Popoli del Mediterraneo” sono chiamati “Levantini”.