TU NOS, EPHYSI, PROTEGE
Da ore la sfilata segna il passo tra gli isolati del centro, serpeggiando lentamente alla volta del mare della Scaffa. In coda sorge finalmente il Santo, risucchiato dal grembo di Stampace. Sono i membri della sua Arciconfraternita, dopo un altro anno, a riconsegnarlo alla luce. Volti compassati. uomini avvolti nei frac.
Non più nobili a rappresentare se stessi. Dai polsini inamidati emergono mani ispessite dal lavoro. Donne in abito nero. Cunfraris col saio azzurro e la mantella bianca. Sono i corifei del dramma collettivo che si rinnova. i depositari delle minuzie del rito. Gli intimi di Efis.
La scorta verso i luoghi del martirio. Il cocchio caracolla sulle asperità dell’asfalto, tra i petali dei fiori e lo sterco dei cavalli. Lo sguardo fisso della statua ondeggia enignamente sulla folla. Cercato dagli occhi di chi chiede una grazia, si sporge in una promessa, rinnova un voto. In mezzo al chiasso dei gitanti spensierati e dei turisti curiosi. Al passaggio del santo la fiumana di persone gli si richiude dietro in una scia vociante.
Fuori dalla città la processione si sgretola. Tornano a casa le traccas, i cavalieri, il folklore. Molti si danno convegno per le bevute e i balli della sera.
Restano i pellegrini. Accompagnano il santo a Giorgino, dove lasciati gli ori indosserà i più modesti abiti di campagna, prima di proseguire il suo viaggio. Ripartono in pochi, un corteo incupito che si serra attorno al cocchio in un abbraccio confidente. Si lasciano portare e insieme sospingono il santo verso la sua palma di martirio. Alcuni sono scalzi, tutti pregano.
invocano al santo un'ccezione per sé, la salvezza di una persona cara,un'argine alle nuove pesti. Sul loro mormorio si alzano solo i comandi severi del bovaro. Il camino verso nora, con le sue soste rituali, dura tre giorni.
La pioggia invocata viene accolta come un miracolo, e i piedi nudi all'arrivo non avranno una piaga. Efis tornerà dai suoi, a Stampace.
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