Il Nuraghe e il villaggio di Palmavera: di Marcello Cabriolu
Il complesso di Palmavera di Alghero - F.Selis Photo Archive
Realizzazione e
montaggio : Federica Selis
Testi : Marcello Cabriolu
Voce : Federica Selis
Immagini : Federica Selis Photo Archive
Il Nuraghe e il villaggio di Palmavera: di Marcello Cabriolu
Nel 1905, a seguito della volontà da parte del Soprintendente A. Taramelli di indagare un sito in prossimità del mare per cogliere elementi di importazione tra i prodotti indigeni, si decise di scavare il Nuraghe Palmavera.
Questa scelta fu motivata dal fatto che l’area, dall’enorme massa di pietre sconvolte, occupava una posizione dominante, ma allo stesso tempo si presentava riparata e facilmente raggiungibile dalla strada provinciale. Le indagini condotte, rese a segnare i limiti della costruzione e le parti che la costituivano, evidenziarono una struttura formata originariamente da un Mastio (torre A) e da alcune capanne attorno, edificate attorno al XVI sec. a.C., tutto in calcare.
La seconda fase edilizia, individuabile tra il XII e il X sec. a.C., dovrebbe coincidere con il momento di edificazione della torre B, in calcare anch’essa, che venne compresa, tramite il rifascio in arenaria, in un
unico corpo con la torre arcaica e con una sorta di cortile interposto tra le due strutture.
Nello stesso momento il villaggio crebbe e sorsero numerose altre capanne e strutture, compresa la “capanna delle riunioni”. Al momento è ancora possibile notare uno stacco netto tra la struttura turrita e il resto del villaggio. La separazione è resa dall’antemurale di forma pentagonale, con torri disposte nei vari vertici liberi, a eccezione del versante sud ovest, occupato dalla capanna delle riunioni. Quest’ultima risulta l’unica struttura inglobata in un particolare ‘temenos’, un recinto sacro o comunque inviolabile.
La torre principale conserva due nicchie di luce trapezoidale ed è ancora voltata a ogiva, mentre la torre aggiunta, originariamente in calcare come mostrano le foto d’epoca, venne scoperta quasi rasa al suolo e letteralmente ricostruita da chi compì gli scavi, inglobando numerosi elementi in arenaria provenienti dal rifascio. La capanna delle riunioni, forse la più grande dell’insediamento, mostrò in fase di scavo di avere un bancone - sedile che seguiva parzialmente il profilo circolare della struttura.
Il punto in cui non si segnalava la presenza del sedile era opposto all’ingresso e corrispondeva a una
grossa nicchia sulla cui soglia era posizionato un seggio - tronetto in arenaria, probabilmente destinato alla figura di potere della comunità. Al fianco destro del seggio del comando stava uno spazio quadrangolare delimitato da lastre ortostatiche - inquadrato come vasca - mentre al centro della sala stava una base con un betilo che, verosimilmente, fungeva da supporto per il simbolo della giustizia e della divinità: l’ascia bipenne.
In relazione all’area indagata si segnala una quantità abbondante di reperti: dalle ceramiche rese con il tornio e decorate con uno stampiglio in osso di bovino, agli strumenti reali (non votivi) in bronzo e in rame, passando per la consistente quantità di ceramiche restaurate con grappe di piombo.
Tutti elementi che, per consistenza e varietà, ci indicano un’economia di tipo misto: agricoltura, allevamento, caccia, pesca, metallurgia e commercio. Un insieme di risorse per un modello di vita più che dignitoso.
dahttp://ilpopoloshardana.blogspot.it/
canale youtube di Marcello Cabriolu
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