(postato DOMENICA 13 FEBBRAIO 2011 su HTTP://PIERLUIGIMONTALBANO.BLOGSPOT.COM )
Gerico e Catal Hoyuk.
bassorilievo che raffigura il trasporto di legname con le navi di Tiro |
Recentemente ho avuto modo di leggere l'interessante libro di Berni e Chiappelli sui "Popoli del Mare" (2009) e, pur non condividendo alcune argomentazioni e qualche conclusione, ho pensato di tuffarmi in una rilettura di questo testo, filtrarla attraverso le esperienze maturate con i recenti scavi in Sardegna e proporre una visione d'insieme dell'argomento rendendola fruibile ai lettori del blog. Per ulteriori approfondimenti vi consiglio la letture del testo in originale, ricco di note dedicate ai testi egizi tradotti, e realizzato secondo la visione degli autori. Inizia, quindi, con questo post una lunga serie di argomenti che riguardano i popoli del mare, grande mistero della nostra storia passata ma ancora oggi in grado di suscitare curiosità e teorie variegate sulle loro origini e sulla loro evoluzione.
Ci fu un tempo in cui gli antenati della maggior parte dei popoli d'Europa e di alcuni dell'Asia abitarono un'unica Patria. Questa è la realtà che la linguistica ci ha rivelato. Da dove venivano questi popoli? Il professor Renfrew identifica la nascita della civiltà indoeuropea con lo sviluppo della civiltà neolitica anatolica del 7500 a.C. La Gimbutas teorizza un'antica Europa prima del 4500 a.C. non indoeuropea, legata al culto della Dea Madre, con gli aspetti di una civiltà agricola sedentaria e pacifica. Invasori provenienti dall'area ucraina in tre ondate successive, fra i 4500 e il 2500 a.C., determinarono la fine di quest'epoca aurea, e introdussero una realtà patriarcale, nomado-pastorale e bellicosa. La totale mancanza di riscontri archeologici significativa su questo territorio, e la presenza di elementi come la svastica, e altre simbologie indoeuropee in epoche più antiche, cancellano inequivocabilmente teorie che hanno allontanato la verità. I linguisti sono in grado di stabilire quali lingue sono indoeuropee, e quali non lo sono, mediante un metodo comparativo: tutte sono trasformazioni nel tempo di una lingua più antica. La maggior prossimità linguistica si determina fra il linguaggio geograficamente più vicino e quello più lontano, ma spesso le lingue più vicine sono geograficamente agli antipodi. Gli indoeuropei non costituiscono una razza ma una civiltà, un insieme di culture. Le lingue indoeuropee più antiche giunte fino a noi sono quelle anatoliche: l'ittita e le precedenti lingue luvie, i più antichi esempi di scrittura indoeuropea pervenutici. Il neolitico e il calcolitico non hanno lasciato sufficienti tracce linguistiche ed è necessario attendere il 3000 a.C. perché si delinei un panorama di certezze. Compare, infatti, per la prima volta, accanto al sumero e all'egizio, il semita, individuato nella lingua accadica. L'esplosione di queste culture traccia un solco indelebile nella storia umana ma la loro provenienza è del tutto ignota. Siamo al cospetto di fenomeni migratori ma non siamo in grado di cogliere il punto di partenza. Nel corso del tempo la stessa problematica si ripresenta. Numerosi popoli verso il 1700 a.C. esordiscono da dominatori sulla scena storica: Mitanni, Micenei, Ittiti, Hyksos. Verso il 1200 a.C. una nuova ondata di genti indoeuropee si riversa nel Mediterraneo. Sono denominati dagli egizi "Haou-Nebout", i popoli del mare: una decina di nomi tra cui spiccano filistei, etruschi, sardi, siculi e genti greche.
la navicella di Chiaramonti |
Iniziamo ad esaminare le vicende che dal Mesolitico ci portano al Neolitico.
Nei millenni a cavallo del 10.000 a.C., la gigantesca massa d'acqua intrappolata nell'ultima glaciazione iniziò ad invadere i territori e sommergerli progressivamente. In quel tempo la Manica non era ancora formata, il Golfo Persico era un mare chiuso, l'Australia era collegata alla nuova Guinea, il Sahara era verde e popolato. L'uomo paleolitico che per migliaia di anni aveva vissuto da raccoglitore e cacciatore di grossa selvaggina come orsi, bisonti e mammut, superò il rischio dell'estinzione ma dovette improvvisamente cambiare le proprie abitudini. Il grande cacciatore deve affrontare una buia era di carestia, accontentandosi di cibarsi di ciò che raccoglie e di piccole prede come lepri e anatre. Molti trovarono la sopravvivenza sul mare, in caverne dove l'alimentazione si evidenzia attraverso enormi cataste di conchiglie vuote. I mesolitici costruirono dei ripari anche lungo fiumi, laghi o paludi, e con pali sommari crearono strutture circolari ricoperte di rami. L'arma più evoluta era l'arco, e le punte in selce e ossidiana utilizzate sono dei veri e propri marchi di questa cultura. Nascono villaggi con capanne intonacate d'argilla, ma quello che è curioso è che all'interno dei recinti dei villaggi vi sono pecore, capre, maiali, bovini e cani da guardia. L'agricoltura è matura: si coltivano, fra i cereali, tre varietà di grano e uno di orzo. Fagioli, lenticchie, piselli e altre leguminose restituiscono l'azoto ai terreni là dove le culture cerealicole avevano impoverito il territorio. Fino all'esplosione neolitica l'uomo aveva vissuto una dimensione animistica dove tutto era vivo e possedeva uno spirito. Le azioni si svolgevano in rituali, nel tentativo di placare e le forze della natura. Ben diversa è la quotidianità all'interno dei villaggi neolitici in cui fervono le attività: le donne iniziano a tessere su rudimentali telai e gli uomini, con asce di pietra levigata, abbattono gli alberi e creano terreno fertile. Utilizzano utensili come falci di selce col manico d'osso e zappe per la semina. Si sviluppa la tecnologia dell'argilla per realizzare contenitori di vario tipo, nei forni si prepara il pane, e negli otri fermenta il succo d'uva.
Il fenomeno neolitico appare realizzarsi prima in un'area del Medio Oriente che abbraccia le coste Libano-palestinesi e l'alta Mesopotamia, per manifestarsi in seguito in Anatolia, e, verso il VI Millennio, troviamo i primi insediamenti europei in Grecia e Bulgaria. Le prime testimonianze dell'area assiro palestinese ci indirizzano oltre il 9000 a.C. dove nasce il mitico sito di Gerico. Non ci sono segni di una transizione, come sarebbe giusto aspettarsi, ma i traguardi delle coltivazioni e dell'allevamento sembrano già raggiunti sin dal primo apparire dell'uomo neolitico. In nessun luogo risultano elementi che svelino fasi Protoneolitiche. L'introduzione dell'agricoltura segnò una delle più grandi rivoluzioni nella storia dell'uomo ma non sappiamo dove e quando per la prima volta gli uomini fecero crescere il grano e si nutrirono di pane. Il salto evolutivo più grandioso che l'umanità ha dimostrato ci lascia nel buio più totale. Gerico è uno fra i siti più antichi che l'archeologia ci ha restituito: una sorta di avamposto temporale del processo neolitico. L'imponenza delle sue fortificazioni è al di fuori del tempo. Ci troviamo nel IX Millennio a.C. e questo miracoloso insediamento fortificato poteva contenere oltre 2000 persone.
L'elemento innescante per questo salto evolutivo consiste semplicemente nel fatto che Gerico, nella fossa del Giordano, era l'unico lembo di terra fertile esposto ad attacchi di predoni, per difendersi dai quali fu costruita una muraglia di pietra che ancora oggi misura oltre 1,5 km di circonferenza e 3,6 m di altezza, con una torre ad ovest alta 9 m munita di una scala interna di 22 gradini e un fossato esterno largo 8 m, tagliato nella roccia per un'altezza di 2,7 m. La città occupava una superficie di 4 ettari. Un abisso separa questa realtà da quella delle caverne e dei campi base che appartengono al mesolitico, dove sono invece appena percepibili timidi progressi verso il processo neolitico. È evidente l'esigenza di una solida autorità e di una gerarchia ben organizzata per portare a termine tali progetti. Scriveva Braudel che nessuno poteva immaginare che all'alba della preistoria esisteva una città con densamente popolata, munita di fossati, fortificazioni, cisterne, torri e silos per cereali, ossia i segni di una evidente coesione urbana. Seguirà nei secoli successivi una multicentrica comparsa di genti neolitiche dalle diverse culture, che mostrano una costante religiosa: il culto della Dea Madre.
Alla luce delle prove archeologiche, la seconda area
L'elemento innescante per questo salto evolutivo consiste semplicemente nel fatto che Gerico, nella fossa del Giordano, era l'unico lembo di terra fertile esposto ad attacchi di predoni, per difendersi dai quali fu costruita una muraglia di pietra che ancora oggi misura oltre 1,5 km di circonferenza e 3,6 m di altezza, con una torre ad ovest alta 9 m munita di una scala interna di 22 gradini e un fossato esterno largo 8 m, tagliato nella roccia per un'altezza di 2,7 m. La città occupava una superficie di 4 ettari. Un abisso separa questa realtà da quella delle caverne e dei campi base che appartengono al mesolitico, dove sono invece appena percepibili timidi progressi verso il processo neolitico. È evidente l'esigenza di una solida autorità e di una gerarchia ben organizzata per portare a termine tali progetti. Scriveva Braudel che nessuno poteva immaginare che all'alba della preistoria esisteva una città con densamente popolata, munita di fossati, fortificazioni, cisterne, torri e silos per cereali, ossia i segni di una evidente coesione urbana. Seguirà nei secoli successivi una multicentrica comparsa di genti neolitiche dalle diverse culture, che mostrano una costante religiosa: il culto della Dea Madre.
Alla luce delle prove archeologiche, la seconda area
la città di Katal Hoyuk |
coinvolta è l'Anatolia. Si tratta di popoli diversi ma che presentano anch'essi una piena conoscenza delle tecniche di produzione.
E' pienamente condivisibile la teoria di Renfrew, che per primo ha proposto la natura indoeuropea delle culture neolitiche dell'VIII millennio a.C. in Anatolia, comprendendo Catal Hoyuk, la più antica città di cui ci sia rimasta testimonianza. Un nuovo popolo portatore di una civiltà sconosciuta, si era insediato in Anatolia edificando la prima città del mondo con più di 1000 case a due piani. Tessuti, recipienti di legno, vasi di creta, specchi di ossidiana e dipinti su pareti intonacate in santuari appaiono per la prima volta. Le case erano edificate con mattoni di fango e paglia ben modellati, essiccati al sole. Tutte le superfici sia interne che esterne erano intonacate ogni anno con un denso strato di argilla bianca. L'agglomerato urbano si presentava senza strade, con la possibilità di accedere all'interno solo attraverso aperture dal tetto che servivano anche da sfogo per i fumi. A Cayonu due strutture con la cosiddetta pianta a griglia presentano una sorta di sistema di aria condizionata, con condutture poste in file parallele sui pavimenti per facilitare la circolazione di aria fresca e impedire il ristagno dell'umidità in inverno, nonché la formazione di muffa nel grano immagazzinato. Ed è sempre a Cayonu che troviamo un edificio che ci riporta a Gerico: il cosiddetto “edificio dei teschi”, che custodiva in due delle sue tre stanze oltre 90 crani carbonizzati. Esistono, inoltre, testimonianze del primo processo di metallurgia in assoluto del piombo e del rame, sia allo stato nativo sia ricavato per fusione. Catal Hoyuk si trovava lungo un fiume che solcava una fertile pianura ricoperta alcuni millenni prima da un gigantesco lago salato. Un'oasi di fertilità con grande varietà di prodotti coltivati e per l'allevamento, con pascoli abbondanti e campi da frumento. A sud le boscose montagne del Tauro fornivano legna in quantità, e animali come leopardi dell'Anatolia, orsi, daini rossi e caprioli popolavano le foreste, mentre a nord le aree paludose erano frequentate da gazzelle, leoni e uri.
Inoltre si hanno attestazioni della spremitura dell'olio e della produzione di birra.
Lo studio delle alterazioni dentarie della popolazione ha dimostrato che quelle genti usufruiva della dieta più variegata fra tutti i siti neolitici dell'epoca.
La più importante fonte di risorse della città è il commercio, infatti gli abitanti di Catal Hoyuk vivevano in un mondo di prodotti non originari della pianura di Konya, infatti il legno da costruzione, come quercia e ginepro, bisognava importarlo dalle montagne. Il legno di abete veniva dal Tauro, l'alabastro dalla zona di Kayseri, il marmo dall'Anatolia occidentale. Si importava ogni singola pietra per poter fabbricare utensili, a cominciare dalla selce da trasformare in lame. Non mancano conchiglie mediterranee di vario tipo, alcune arrivano addirittura dal Mar Rosso. Il piombo arriva da miniere della Cilicia, e altri tipi di pietra dall’Anatolia centrale. Il quadro generale è quello di un sistema commerciale altamente organizzato, nel quale le distanze e i costi non costituivano un ostacolo. Sorprende il percorso del ossidiana perché le concentrazioni sono maggiori per quella che proviene da più lontano. È fondamentale sottolineare che stiamo parlando di un sistema commerciale che presuppone una organizzazione politico economica che solo l'urbanizzazione può produrre. I neolitici appaiono sfruttare meccanismi propri di una realtà urbana che cronologicamente non gli apparterrebbe. È d'obbligo riflettere su come i neolitici potessero percorrere enormi distanze lungo territori sconosciuti, attraversare le immense foreste che ricoprivano i territori della glaciazione, e valicare catene montuose senza conoscerne i passi. Come potevano conoscere la direzione? La via di terra era difficile e non esistono i sentieri di questa migrazione, neppure la minima traccia. L'unica possibilità di non lasciare tracce è il mare, e la propagazione all'entroterra avvenne percorrendo i grandi bacini fluviali. Ad allontanare le pianure Mesopotamiche come centro di irradiazione della cultura neolitica, vi è il fatto che l'allevamento di bovini, che a Catal Hoyuk rappresentano ben il 90% del consumo di carne, ed è presente anche in siti della Grecia e dei Balcani in data anteriore al 6000 a.C., si riscontra in Mesopotamia solamente dopo il 5000 a.C. Il toro riveste un'importanza particolare ed è sempre presente nei numerosi santuari di Catal Hoyuk. Questa religione appare per la prima volta associata ad un Dio Toro e sembra precedere la diffusione nel Bronzo di divinità come il Dio delle tempeste ittita, il Baal fenicio, quello di Ugarit, lo Zeus di Dodona di cui il toro ci appare come la forza generatrice, la violenza della tempesta, il valore guerriero. Un rituale che passando attraverso la Creta minoica giunge sino all’Iberia, la quale conserva ancora oggi evidenti tracce di riti cerimoniali arcaici.
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