GERGO DEI RAMAI DI ISILI (Sardegna), un gergo che finora era rimasto all’ombra delle ricerche linguistiche. Un gergo che getta limpida luce sull’origine degli Zingari-Ramai nel Mediterraneo, in Europa, in Asia.
Il gergo Ramaio di Isili è il sistema linguistico più antico della Sardegna e del Mediterraneo. Esso getta intensi bagliori sulla nascita della Lingua Madre Mediterranea.
si Salvatore Dedola
ALCUNI LEMMI DEL GERGO RAMAIO DI ISILI (ETIMOLOGIE)
ARBARESCA (sinonimo di romanisca, arromanisca: vedi), denominazione del gergo isilese dei ramai (trottoniéris) e dei rivenditori ambulanti di oggetti di rame (piscaggiáus). Stando a Francesco Corda (SGR 24), «è stata ipotizzata una derivazione da arbër ‘albanese’ o da arberëše ‘italo-albanese’. Di “probabilissima appartenenza all’albanese” sono, per il Cortelazzo, alcune voci gergali isilesi: arrega, dossu, drughi ecc. Non è improbabile che arbaresca sia la denominazione originaria della parlata romanisca, intesa semplicemente come ‘linguaggio dei ramai’. Tale ipotesi è basata sui nomi dati al ramaio, al calderario, allo stagnino ecc. in vari gerghi di mestiere: arvar a Tramonti (nel Friuli), revara a Monsanpaolo (nelle Marche), erbaru a Dipignano (in Calabria)».
Pur rendendo omaggio ai pionieri che hanno dato avvio alle ricerche, cimentandosi per primi con le grandi difficoltà opposte da un gergo sino a ieri misterioso, mi permetto di non essere d’accordo con l’interpretazione del Cortelazzo; non concordo neppure con l’impostazione del Corda. L’ipotesi che questo vocabolo aggettivale possa essere un etnico indicante un gruppo di professionisti originari dall’Albania, sottenderebbe una ovvia conseguenza: che la lavorazione del rame sia stata sempre peculiare degli Albanesi, anzi che l’Albania in quanto tale sia stata il focus da cui s’irradiò nel Mediterraneo la tecnologia del rame. Ma vi osta il fatto che, a quanto si sa, l’Albania non fu mai produttrice di questo metallo. Vi osta pure la considerazione che nella storia greca e nella storia romana l’Albania non fu mai nominata per tale vocazione, neppure dai poeti greci (i quali, si sa, furono spesso i rivelatori di certe relazioni socio-economiche che sfuggivano financo agli storici). Queste considerazioni hanno un peso. Così come ha il suo peso la considerazione che già i Sumeri conoscevano il rame.
È da quest’ultima affermazione che occorre prendere le mosse. In secondo luogo, sono proprio le traduzioni etimologiche che propongo sui lemmi arbaresca eromanisca a gettare un potente fascio di luce sulla loro origine, che fu sumerica, appunto. Anche il rapporto reciproco tra i lemmi arbaresca e romanisca, evidenziato dalla traduzione, non porta alla loro confusione ma anzi distingue due figure professionali precise.
Infatti arbaresca, arbaréscu, arbaríscu ha la base etimologica nel sum. arab ‘vaso’ + isḫu ‘distribuzione’: arab-isḫu > metatesi arbaríscu, col significato di ‘distributore di vasi’. Quindi sembra chiaro che furono gli attuali piscaggiáius (i ‘rivenditori degli oggetti di rame’) ad avere l’identità originaria di arbaríscu.
Quanto a romanìsca, che denomina il gergo isilese dei ramai (trottoniéris) e dei rivenditori ambulanti degli oggetti di rame (piscaggiáius), la sua base etimologica sta nel sum. ru ‘costruzione’ + manu ‘legno, salice’ + isḫu ‘distribuzione’: ru-man-isḫu, col significato di ‘colui che costruisce coi salici e distribuisce’ ossia ‘intrecciatore di salici e distributore’ (come dire che quegli arcaici professionisti erano ‘cestinai’). Questa etimologia potrà lasciare stupefatto qualcuno, ma invece dà uno spaccato stupefacente ma realistico della più antica civiltà della Sardegna (e di Ísili), quella paleo-neolitica, allorchè non si usavano i metalli, e le costruzioni erano fatte intrecciando stuoie e casse-formi coi rami delle piante più adatte (canne, salice, ecc.). Le casseformi erano riempite di fango-sassi-paglia per erigere i muri e le muraglie degli abitati. Ma è chiaro che con romaníscu s’intendeva esclusivamente colui che intrecciava i salici per fare cestini, almeno alle origini.
Questa vocazione isilese è ancora viva, e procede affiancata all’arte ramaia. Ma è ovvio che l’arte della cestineria è molto più antica, e solo quando, grazie alla vicina miniera di Funtana Raminosa, gli Isilesi (i primi in Sardegna!) cominciarono a forgiare il rame, ecco che i cestinai passarono in secondo ordine (formando un’altra classe sociale), e romaníscu passò a indicare il ‘forgiatore-venditore del rame’.
Al riguardo vorrei fare un’osservazione di non poco conto. Sostengo che in Sardegna l’antichissima arte cestinaia degli Isilesi era arcinota e molto apprezzata, forse per il fatto che il vicino rio Mannu recava una pletora di ottimi salici da intreccio. A mio avviso furono proprio i salici a determinare la stanzialità della tribù primitiva e quindi la costruzione del primo villaggio, a fianco del quale sorse il nuraghe, l’altare del Dio Sole. Infatti il nuraghe Is Paras, il più celebre della Sardegna per l’incredibile perfezione della sua tholos, ha la base etimologica nel babilonese išparum ‘laboratorio d’intrecciatori’. Vedi al riguardo il fitonimo sardo ispartu, it. ‘sparto’, denominante il Lygeum spartum, nel Campidano detto tzinnìga. Questa voce ha la base nel babilonese išpartu ‘donna che intreccia steli d’erba’.
BÙFFULA ‘mammella’. Sembra che la forma curiosa derivi dall’opportunità che la mammella offre ai lattanti di succhiare il latte: da camp. buffái ‘bere’, ma pure ‘soffiare’. Per la mammella questa doppia semantica andrebbe bene, perché il pargolo che succhia sembra quasi che dopo ogni poppata la soffi con forza per tener gonfio l’oggetto del nutrimento.
Quanto sopra però deve servire a suscitare più acribia al momento della ricerca etimologica. Infatti non credo che la reale semantica di bùffula sia quella appena descritta. A mio avviso la sua arcaica base etimologica è il sum. pu ‘bocca’ + pu ‘sorgente’ + la ‘flusso liquido che esce in gran quantità’: pu-pu-la, col significato di ‘bocca di sorgente che emette in quantità’.
CALLÍU ‘bello’. Il lemma appare a tutta prima di origine greca: καλός ‘bello’. Ma questa prospettiva interessa soltanto chi non riesce a estendere il proprio campo d’indagine. Infatti il termine sardo attinge direttamente dal sumerico kal ‘pregiato, raro, di valore’ + u ‘ammirazione’: kal-u ‘(cosa) rara da ammirare’.
CAMPANÁRI ‘morire’. Se l’intuizione coglie nel segno, questo è l’ennesimo vocabolo ironico, fantasioso, col quale si vuole esprimere il momento solenne dell’addio, quello in cui si suonano le campane “a morto”. Altrimenti, sempre restando nell’ironia, sembra possibile intendere il verbo come un composto nella lingua delle origini, il sumerico, dal quale abbiamo l’agglutinazione kam-pa-narua: kam ‘cambiare, diventare altro’ + pa ‘tasca, fossa’ + narua ‘stele’, con la descrizione sintetica dei momenti cruciali del trapasso: la morte, il loculo o fossa, la stele del ricordo.
COFFA ‘buona sorte, fortuna’. Il termine nel concreto indica (Logudoro) il ‘braciere’; in Campidano cuppa è il ‘braciere’, ‘cesto’, ‘paniere per trasporto’, che ha la base nell’akk. kūbu ‘vaso per bere, per versare’.
L’uso metaforico col senso astratto di ‘fortuna’ è pansardo. Coffa indica ciò che in altri termini è detto, volgarmente, culo, nel senso di ‘fortuna’. Quest’ultimo termine è sempre accompagnato dall’indice-medio contrapposti in forma circolare, a indicare la larghezza del collo del “vaso” necessario a contenere la… fortuna. Il campo semantico rievoca facilmente l’originaria cornucopia della dea Fortuna o il “vaso di Pandora” (dal greco ‘tutta doni’).
CÓIRA ‘pelle, cuoio’. Il termine ha la base diretta nel lat. corium ‘cuoio’, gr. κόριον (cfr. francese cuir ‘pelle, cuoio’).
CRABIÉLI ‘sole’. Anche questo termine sembrerebbe rinvia ironicamente a qualcos’altro, a idee più complesse, riferite a entità arcaiche il cui nome riesce a condensarsi soltanto nella essenzialità di un vocabolo. Ma stavolta non è proprio così. Se volessimo stare alla Bibbia, Gabriele è (forse) il secondo dei quattro arcangeli più importanti nella gerarchia, quelli che possono apparire davanti a Dio (1 Enoch 40). Sempre in 1 Enoch (9,9-10) è considerato strumento della distruzione degli empi. La tradizione ha associato Gabriele con l’arcangelo la cui tromba annuncerà il ritorno di Cristo. Eppure non possiamo credere che crabiéli sia l’ipostasi dell’arcangelo Gabriele.
In realtà il lemma ha la base etimologica nel sum. kar ‘risplendere’ + be ‘perfetto’ + akk. Elû ‘Dio del cielo’: stato costrutto kar-bi-Elû (e successiva metatesi), col significato di ‘Dio perfettamente risplendente’, riferito al sommo Dio in quanto Dio Sole.
DOSSU ‘maiale, suino’. Termine criptico che riceve luce esclusivamente con l’akk. duššu ‘abbondante, copioso’ (con riferimento al maiale d’allevamento). Ma molto probabilmente la vera base etimologica è il sum. du ‘adatto, utile’ + šu ‘totalità’: du-šu, col significato di totalità utile’. Si sa che del maiale non si spreca niente.